IL CONFLITTO VA GESTITO BENE
Il «potere di non» è in fondo quello che ci rende umani: non consegnarsi all’assuefazione, ma riuscire a opporsi, a dire di no. Questo è il momento di esercitare i valori che, secondo il detto comune, contraddistinguono il Trentino. Se siamo, come certamente in parte siamo, la terra della solidarietà e della civiltà basata sulla reciprocità, è l’ora di farlo vedere con i fatti. Al terzo attentato contro residenze di richiedenti asilo, ieri a Roncone, non solo non è il caso di minimizzare come da qualche parte si cerca di fare, ma non può bastare neppure l’esecrazione, la dimostrazione di piazza, il corteo contro la violenza. Non fraintendiamoci: le prese di posizione chiare e forti sono non solo necessarie ma fondamentali. Bisogna però andare oltre. A partire dalla consapevolezza di almeno due questioni fondamentali. La prima riguarda il rischio di assuefazione, pur a fronte dell’escalation. Sappiamo da lunghe e attente analisi che le nostre menti e i nostri comportamenti sono soggetti alla dissolvenza dell’attenzione e della compassione. Ci abituiamo a tutto, il che è anche una nostra importante possibilità. Ma un effetto collaterale è che, dopo un poco, fatti terribili tendono a diventare normali.
La seconda questione ha a che fare con il conflitto, con quelle situazioni in cui ci troviamo di fronte a comportamenti contrari ai nostri principi, interessi e valori. Il conflitto non è la guerra, anzi è la via per non fare la guerra. «Se vuoi la pace prepara la guerra», recita la celebre massima, dunque se si vuole una società vivibile bisogna saper gestire bene il conflitto. Ciò vuol dire agire per individuare rapidamente i responsabili di quanto accaduto e condannare con i fatti comportamenti violenti contro persone e contro i principi della nostra società civile. Vuol dire allo stesso tempo sviluppare una decisa azione di governo dei fenomeni di immigrazione e di asilo, per favorire la capacità della popolazione di comprendere il significato e il valore delle scelte di accoglienza. Così come è necessario intervenire con determinazione contro ogni comportamento di chi, provenendo da altre culture, non rispetta le regole della nostra convivenza civile. Si attivi allora, principalmente su un piano comunicativo e educativo, una diffusa azione di promozione di una civiltà delle differenze, accanto all’uso mirato delle norme e degli strumenti di repressione che abbiamo a disposizione. Senza minimizzare né cercare di normalizzare quanto è successo. Perché è comunque una ferita grave alla nostra socialità.