Recuperare i sensi Una scoperta regala speranze
La ricerca di Piasini e Panzeri. «In futuro si potrà riprodurre un’azione»
TRENTO In futuro potrebbe consentire di restituire la funzione sensoriale alle persone che l’hanno persa. Oppure aiutare ricercatori e medici a capire come affrontare i disordini della memoria. La scoperta di Eugenio Piasini e Stefano Panzeri, ricercatori del Centro per le neuroscienze e i sistemi cognitivi dell’Istituto italiano di tecnologia di Rovereto, ha potenzialmente una portata rivoluzionaria e non a caso è stata pubblicata su Nature. «Abbiamo capito in che modo i neuroni riescono a mantenere l’informazione per lungo tempo, quello necessario al nostro cervello per prendere una decisione ed eseguirla in maniera corretta» spiega Panzeri, che coordina la sede dell’Iit di corso Bettini.
Il quesito cui hanno trovato risposta è uno degli interrogativi principali che attanaglia i neuroscienziati: in che modo le informazioni provenienti dal mondo esterno vengono codificate all’interno dei circuiti neuronali e come sono poi utilizzate per determinare il nostro comportamento? «Per la maggior parte delle cose che facciamo, abbiamo bisogno di compiere delle scelte che richiedono o di integrare l’informazione che arriva al nostro cervello a tempi diversi oppure di mantenervi un segnale di ciò che intendiamo fare per lungo tempo» chiosa Panzeri. Un singolo neurone, tuttavia, mantiene l’informazione per circa un decimo di secondo.
Ecco allora che, mentre all’Harvard medical school di Boston sono stati realizzati esperimenti comportamentali con modelli animali (dei topini dovevano navigare attraverso un ambiente di realtà virtuale con l’obiettivo di ricevere un premio, che sarebbe arrivato nel momento in cui avessero identificato la provenienza di un suono dirigendosi verso la sorgente), a Rovereto veniva messo a punto un algoritmo per analizzare la comunicazione tra neuroni: «Con nuove tecniche matematiche siamo riusciti a decodificare l’informazione che viene circolata da un neurone all’altro» conferma Panzeri.
Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che i gruppi di neuroni nella corteccia uditiva lavorano indipendentemente l’uno dall’altro, mentre quelli della corteccia parietale (associata alle funzioni cognitive superiori) lavorano in stretta cooperazione fra loro determinando il tempo di lavoro del cervello: «Se gruppi di tanti neuroni lavorano insieme — chiarisce il ricercatore — possono fare durare l’informazione più a lungo, attivandosi a tempi successivi e prolungando la durata della decisione». Più i neuroni della corteccia parietale cooperano, dunque, più a lungo riescono a mantenere viva l’informazione. «Nelle aree uditive, invece, non c’è questo forte accoppiamento fra cellule — aggiunge Panzeri — ma le informazioni sul suono possono cambiare da un momento all’altro, quindi è importante che ogni neurone possa dire la sua in maniera indipendente dagli altri».
«Craccare», come hanno fatto Panzeri e Piasini, il codice usato dai neuroni per codificare e processare l’informazione che viene dai sensi, in futuro potrebbe avere applicazioni considerate fantascienza fino a qualche tempo fa: «Sarà possibile, nel lungo termine, implementare delle interfacce che possano leggere l’attività neurale e siano usate per rimpiazzare le funzioni di sensazione o decisione nel momento in cui le aree del cervello non dovessero più riuscire a comunicare — conclude il coordinatore dell’Iit di Rovereto — si pensi a una persona paralizzata che vorrebbe tornare a muoversi: in futuro si potrà leggere l’attività neurale della corteccia parietale e passare l’informazione a una macchina per riprodurre l’azione e consentirgli di farlo».