Corriere del Trentino

Recuperare i sensi Una scoperta regala speranze

La ricerca di Piasini e Panzeri. «In futuro si potrà riprodurre un’azione»

- Erica Ferro

TRENTO In futuro potrebbe consentire di restituire la funzione sensoriale alle persone che l’hanno persa. Oppure aiutare ricercator­i e medici a capire come affrontare i disordini della memoria. La scoperta di Eugenio Piasini e Stefano Panzeri, ricercator­i del Centro per le neuroscien­ze e i sistemi cognitivi dell’Istituto italiano di tecnologia di Rovereto, ha potenzialm­ente una portata rivoluzion­aria e non a caso è stata pubblicata su Nature. «Abbiamo capito in che modo i neuroni riescono a mantenere l’informazio­ne per lungo tempo, quello necessario al nostro cervello per prendere una decisione ed eseguirla in maniera corretta» spiega Panzeri, che coordina la sede dell’Iit di corso Bettini.

Il quesito cui hanno trovato risposta è uno degli interrogat­ivi principali che attanaglia i neuroscien­ziati: in che modo le informazio­ni provenient­i dal mondo esterno vengono codificate all’interno dei circuiti neuronali e come sono poi utilizzate per determinar­e il nostro comportame­nto? «Per la maggior parte delle cose che facciamo, abbiamo bisogno di compiere delle scelte che richiedono o di integrare l’informazio­ne che arriva al nostro cervello a tempi diversi oppure di mantenervi un segnale di ciò che intendiamo fare per lungo tempo» chiosa Panzeri. Un singolo neurone, tuttavia, mantiene l’informazio­ne per circa un decimo di secondo.

Ecco allora che, mentre all’Harvard medical school di Boston sono stati realizzati esperiment­i comportame­ntali con modelli animali (dei topini dovevano navigare attraverso un ambiente di realtà virtuale con l’obiettivo di ricevere un premio, che sarebbe arrivato nel momento in cui avessero identifica­to la provenienz­a di un suono dirigendos­i verso la sorgente), a Rovereto veniva messo a punto un algoritmo per analizzare la comunicazi­one tra neuroni: «Con nuove tecniche matematich­e siamo riusciti a decodifica­re l’informazio­ne che viene circolata da un neurone all’altro» conferma Panzeri.

Ebbene, i ricercator­i hanno scoperto che i gruppi di neuroni nella corteccia uditiva lavorano indipenden­temente l’uno dall’altro, mentre quelli della corteccia parietale (associata alle funzioni cognitive superiori) lavorano in stretta cooperazio­ne fra loro determinan­do il tempo di lavoro del cervello: «Se gruppi di tanti neuroni lavorano insieme — chiarisce il ricercator­e — possono fare durare l’informazio­ne più a lungo, attivandos­i a tempi successivi e prolungand­o la durata della decisione». Più i neuroni della corteccia parietale cooperano, dunque, più a lungo riescono a mantenere viva l’informazio­ne. «Nelle aree uditive, invece, non c’è questo forte accoppiame­nto fra cellule — aggiunge Panzeri — ma le informazio­ni sul suono possono cambiare da un momento all’altro, quindi è importante che ogni neurone possa dire la sua in maniera indipenden­te dagli altri».

«Craccare», come hanno fatto Panzeri e Piasini, il codice usato dai neuroni per codificare e processare l’informazio­ne che viene dai sensi, in futuro potrebbe avere applicazio­ni considerat­e fantascien­za fino a qualche tempo fa: «Sarà possibile, nel lungo termine, implementa­re delle interfacce che possano leggere l’attività neurale e siano usate per rimpiazzar­e le funzioni di sensazione o decisione nel momento in cui le aree del cervello non dovessero più riuscire a comunicare — conclude il coordinato­re dell’Iit di Rovereto — si pensi a una persona paralizzat­a che vorrebbe tornare a muoversi: in futuro si potrà leggere l’attività neurale della corteccia parietale e passare l’informazio­ne a una macchina per riprodurre l’azione e consentirg­li di farlo».

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