Bologna, ragazze-schiave costrette a prostituirsi Sgominata la banda Merano, donna arrestata
Schiave del sesso, obbligate a onorare con il proprio corpo e la propria libertà il debito contratto per arrivare in Italia. Sognavano un futuro migliore, un lavoro onesto, hanno trovato solo violenza e sopraffazione.
Dai centri di accoglienza della Sicilia, della Calabria e della Puglia il loro viaggio proseguiva fino a Bologna, dove una banda di aguzzini guidata da una donna le attendeva per schiavizzarle e farle prostituire. Undici persone, tutte nigeriane, sono finite in manette per associazione a delinquere finalizzata alla tratta, alla riduzione in schiavitù, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della prostituzione: tra di loro, una donna che viveva a Merano, e lavorava per un’azienda locale. È il risultato dell’operazione «Falsa speranza» — chiamata così sulla scia dei racconti delle vittime, ragazze nigeriane poco più che diciottenni — che ha messo la parola fine al loro «inferno», come gli investigatori hanno definito quello che cimici e pedinamenti hanno catturato nell’ultimo anno di indagini portate avanti dai carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia Bologna Centro, sotto la direzione del pm della Dda, Stefano Orsi.
L’inchiesta ha permesso di liberare sei ragazze che vivevano segregate in tuguri in città ed erano costrette a prostituirsi in via Rigosa, e nei finesettimana a Cesena dove la domanda era più forte. «Madame O.H», la donna di 38 anni arrestata a Bolzano, dopo aver trascorso la settimana lavorativa a Merano, nel weekend si spostata proprio a Cesena dove, in un appartamento, teneva segretata una ragazza poco più che ventenne che obbligava a prostituirsi nel bolognese.
Nella rete della banda, che aveva la base operativa sotto le Due Torri, sono finite almeno una trentina di nigeriane. Alcune di loro oggi sono in Francia, le altre sono state collocate in comunità protette. È stato il coraggio di una di loro, che ha denunciato i propri aguzzini dopo abusi indicibili, a dare il via all’operazione dei carabinieri che hanno eseguito otto arresti in città, uno a Crotone, Bolzano e Modena. Perquisizioni sono scattate anche a Torino e Cesena.
Esattamente un anno fa la 24enne si è presentata alla stazione dei carabinieri Bologna Indipendenza e ha raccontato l’inferno nel quale era precipitata nell’ultimo anno, da quando era arrivata con l’illusione di una vita migliore prima in Calabria e poi sotto le Due Torri. La ragazza, stuprata e ridotta in fin di vita dai suoi connazionali, ha contratto l’hiv e subito lesioni permanenti per le ripetute violenze sessuali, la punizione che le riservavano i suoi aguzzini per il rifiuto di prostituirsi. Le ragazze, intimorite da quello che sarebbe potuto accadere a loro e ai loro famigliari rimasti in Nigeria e soggiogate da un rito vudù praticato prima della partenza, avrebbero dovuto prostituirsi per pagare il proprio riscatto, una somma che poteva arrivare fino a 70.000 euro. Un debito legato secondo la banda al viaggio per arrivare in Italia, quando in realtà per quell’odissea di 6.500 chilometri ne erano serviti solo 315.
Dalle indagini è emerso che i gruppi di reclutamento e sfrut- tamento erano due: al vertice del primo c’era una donna, una protettrice di 38 anni residente in zona Barca, che dava ordini ad altre sei persone; l’altro composto da cinque connazionali, guidato sempre da una donna, ricercata all’estero, gemmato dal primo. Conoscevano bene i meccanismi dell’accoglienza, tanto che alle ragazze chiedevano di dichiarare un’età maggiore e di essere orfane. Oltre al plauso per l’operazione degli uomini del colonnello Valerio Giardina, il procuratore capo Giuseppe Amato ha ricordato «l’importanza di ribaltare l’approccio e di interrompere il fenomeno all’origine intervenendo alla fonte» e ha spiegato che per le vittime «si sta lavorando per farle ottenere un permesso di soggiorno di tipo sociale».