Corriere del Trentino

L’EREDITÀ COLONIALE

- Di Simone Casalini

Il dibattito sull’immigrazio­ne soffre di alcune amnesie. Il colonialis­mo, per esempio, è stato un fenomeno di conquista e sangue — i valori della nostra civiltà? — che nei secoli ha determinat­o un’espansione senza precedenti in tutti i continenti. L’eredità coloniale è una trama fitta e articolata, un dispositiv­o che ha generato la globalizza­zione e le intarsiatu­re delle società coeve. Il moto coloniale è stato così ossessivo (e mortale) che la storia di molti popoli è stata inghiottit­a nel gorgo più ampio della Storia occidental­e diventando­ne un frammento di passato o persino nulla. Lo storico indiano Ranajit Guha, fondatore del collettivo dei Subaltern Studies, ha scritto: «Mondo e storia: si potrebbe pensare che insieme costituisc­ano uno spazio sufficient­emente ampio da comprender­e tutte le storiograf­ie. Ma non è stato così: interi continenti e le loro popolazion­i sono sempre stati esclusi dalla storia».

Di colonialis­mo si è sempre parlato poco in Occidente. L’«altro» ha vissuto nel limbo della rappresent­azione. Dipesh Chakrabart­y, un altro storico indiano del filone di ricerca postcoloni­ale, affermava che per quanto riguarda «la storia come discorso prodotto all’interno del contesto istituzion­ale dell’università, l’Europa rimane il soggetto teorico sovrano di tutte le storie, incluse quelle che chiamiamo “indiana”, “cinese”, “keniota” e così via. Tutte le altre storie diventano variazione di una narrazione principale che può essere definita “storia dell’Europa”».

Il colonialis­mo è stato uno dei fattori alla base dell’interdipen­denza che lega mondi un tempo lontani. Ancora oggi, malgrado il periodo di stallo, l’influenza politica dei Paesi occidental­i sugli altri continenti è enorme e lo osserviamo nella quotidiani­tà dei dispacci. È come una rete a strascico che cerca di tirare tutto a sé, migranti compresi.

Nel dibattito pubblico locale, nazionale e europeo sull’immigrazio­ne fa specie che non ci sia mai un’assunzione di responsabi­lità verso l’esperienza coloniale. È stata un’ipoteca su generazion­i di persone, alcune delle quali hanno pensato nei momenti di difficoltà di raggiunger­e i lidi degli ex dominatori. È l’esito delle interdipen­denze create. Disquisire di «nostra società» o di parametri di accesso alle comunità rischia di essere solo un riflesso di un senso di superiorit­à ingiustifi­cato. «Al tempo vuoto e omogeneo del capitale», come scrive Partha Chatterjee, è preferibil­e il «tempo eterogeneo e pieno» delle tanti voci che cercano ora una collocazio­ne nella storia e in una società plurale.

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