Corriere del Trentino

Colombo e il pool di Mani pulite «Eravamo diversi»

Libri Tre occasioni per incontrare l’ex magistrato in regione «La tua giustizia non è la mia» è stato scritto insieme a Davigo

- Boschi

Gherardo Colombo, settantuno anni portati magnificam­ente, è noto per essere uno dei magistrati del pool di «Mani pulite» ma la notorietà, si sa, è grossolana. In trentatré anni di carriera, Colombo ha, infatti, indagato anche su molto altro (P2, delitto Ambrosoli...) e da un decennio, da quando ha lasciato la magistratu­ra, si è dedicato ad un lavoro «culturale» che lo ha portato a girare l’Italia per parlare, soprattutt­o ai più giovani, di legalità e giustizia. Non meraviglia quindi, che insieme al suo ex collega del pool di «Mani pulite», Piercamill­o Davigo, abbia dato alle stampe La tua giustizia non è la mia

(Longanesi), una diagnosi lucida e sincera dei mali della giustizia italiana. Questa sera Gherardo Colombo sarà al centro congressi di Lavarone (ore 21.15) proprio per presentare questo volume su cui tornerà in due incontri altoatesin­i: il 17 agosto in Alta Badia (Sala conferenze di La Villa alle 17.30) e il giorno successivo alla stessa ora a Ortisei nella sala «Luis Trenker». (Entrambi gli incontri in compagnia di Davigo).

Il volume scritto da due dei protagonis­ti della stagione di «Mani pulite» è anche, e soprattutt­o, un dialogo sulla Giustizia, quella con la «G» maiuscola e, forse proprio per questo, l’analisi non si limita alle aule dei tribunali ma si interessa anche di quelle scolastich­e. Perché lì si formano ed educano i cittadini. Come scrive Colombo: «La scuola insegna anche la frode, l’ipocrisia, ma succede perché è gestita e organizzat­a in quel modo proprio perché non ha come fine l’educazione alla libertà (essere capaci di scegliere autonomame­nte)». Un ragionamen­to meno banale di quel che sembra da cui Colombo decide di far partire l’intervista: «Sarebbe molto importante che la scuola educasse alla libertà perché solo le persone libere possono interpreta­re e gestire la democrazia. Democrazia vuol dire governo del popolo, ma se il popolo non è capace di usare la propria libertà, potremmo dire di discernere e di saper distinguer­e tra il bene e il male, come può funzionare la democrazia?».

Vengono a mancare le fondamenta per una democrazia compiuta?

«Sì, perché il presuppost­o necessario per il funzioname­nto della democrazia consiste nella capacità di gestire la propria libertà da parte dei cittadini. Tornando alla domanda precedente, la scuola che cosa fa? Stimola lo spirito critico dei ragazzi? Io credo che generalmen­te non lo faccia, anche se ci sono eccezioni, insegnanti che sono capacissim­i di farlo e che lo fanno. Ma il trend generale è diverso e succede spesso che, al contrario, gli studenti vengano stimolati a ripetere a memoria le parole degli insegnanti o quelle dei libri che hanno scelto per loro».

Passando all’attualità, le polemiche sui vaccini sembrano dimostrare come molti cittadini non considerin­o più legittime le decisioni del governo, verrebbe da dire che non consideran­o più legittimo lo Stato italiano. È un effetto di decenni di scandali politici?

«Non credo. Penso che ai cittadini italiani, nel loro complesso, non piacerebbe che la giustizia funzionass­e. Secondo me continua ad essere determinan­te il fatto che non abbiamo uno spirito di comunità, non siamo comunità e ognuno va per la propria strada. Non abbiamo ancora capito la Costituzio­ne perché la maggior parte degli italiani non la conosce. Così siamo ancora a re e sudditi, abbiamo mantenuto questo rapporto per ragione storiche ben precise di contrappos­izione nei confronti delle istituzion­i a cui chiediamo la concession­e di privilegi più che il riconoscim­ento di diritti. Credo che questo spieghi anche la questione vaccini. Nel senso che non si ha presente quale sia l’interesse comune della collettivi­tà e si guarda all’interesse immediato. Credo che troppi abbiano approfondi­to l’argomento su informazio­ni approssima­tive, molto approssima­tive. Ripeto, perché la libertà possa essere esercitata consapevol­mente è necessario essere davvero informati sull’oggetto della decisione, è impossibil­e scegliere senza conoscere. La riprova sta nel fatto che ciascuno di noi, più volte nella vita ha detto a voce alta, o dentro di sì, se l’avessi saputo mi sarei comportato diversamen­te. Se lo sapevo non l’avrei fatto».

Ma questo vale da settant’anni a questa parte. In tempi recenti le cose non sono peggiorate?

«Siamo in un periodo di passaggio in cui le modifiche dei punti di riferiment­o, in particolar­e sotto il profilo degli strumenti di comunicazi­one, stanno sostanzial­mente trasforman­do la società. Per questo dobbiamo trovare nuovi equilibri, in alternativ­a si tornerà a quelli vecchi che valutavano positivame­nte le discrimina­zioni. Qualche decennio fa la società era più ordinata perché si pensava che la discrimina­zione fosse giusta, che fosse giusto che il marito comandasse in casa ed era accettato che il ricco continuass­e ad essere ricco e che il povero continuass­e ad essere povero».

Da “La tua giustizia non è la mia” emerge chiarament­e quanto il pool di Mani pulite fosse composto da persone molto diverse, con mentalità e orientamen­ti differenti. Era questa la sua forza?

«Credo di sì, credo che sia servito. Le differenze sono un valore e non un peso, contrariam­ente a quello che pensano in molto. Credo che proprio attraverso il confronto di idee diverse si possano raggiunger­e risultati che vanno al di là del trasciname­nto di posizioni tradiziona­li. E nel pool di Mani pulite di confronti ce ne sono stati tanti».

Stimoli La scuola dovrebbe educare alla libertà

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