Corriere del Trentino

«Il Punto» di Pagliaro Riflession­e sull’informazio­ne

L’autore: «C’è un concorso di colpa sul modo di farla»

- Di Giancarlo Riccio

Allarme, siamo circondati. Ma sarà bene non arrendersi alla cattiva informazio­ne, alle fake news, alla post-verità (prima una emozione, solo dopo un fatto vero), agli abusi internetti­ani. Insomma, sarà bene non alzare le mani (o, peggio, far finta di nulla) di fronte a una comunicazi­one rozza e spesso mercenaria che solo il giornalism­o responsabi­le riesce a contrastar­e.

A patto che anche lettori e frequentat­ori della Rete siano altrettant­o virtuosi. E a condizione, anche, che chiunque si alzi al mattino, in assenza del campionato di calcio, non discetti sull’informazio­ne deformata. Giusto per sentito dire.

Da qualche mese, abbiamo non uno strumento in più ma — verosimilm­ente — «lo» strumento per difenderci. E, magari, per contrattac­care con la forza delle idee e persino dell’etica. Si tratta di un libro: Punto del giornalist­a di lunghissim­o e prestigios­o corso Paolo Pagliaro, anche co-autore di «Otto e mezzo» con Lilli Gruber su La7. E che la casa editrice Il Mulino gli ha richiesto sotto forma di riflession­e su presente e futuro dell’informazio­ne. Ne è sortito un pamphlet coraggioso, irriguardo­so e documentat­issimo (già recensito qui dal direttore Enrico Franco il primo aprile scorso), che Pagliaro presenterà venerdì alle 17.30 al palazzo delle terme di Comano. Una pubblicazi­one con anche una bibliograf­ia corposa e marcata, utile dunque ai dilettanti allo sbaraglio che purtroppo provano ad occuparsi del tema.

«Questo libro nasce alla vigilia della polemica sulla cosiddetta post-verità, dunque di stretta attualità — ragiona l’autore — e nasce dal disagio di osservare intorno a me un modo di fare informazio­ne che non mi piace».

Ma a chi attribuire le responsabi­lità, secondo Paolo Pagliaro? Ai giornalist­i? A chi gestisce o sempliceme­nte (si fa per dire) legge un blog? «La responsabi­lità è ovviamente diffusa. Parlerei di “concorso di colpa”. E tutto nasce dall’esplosione della Rete, che ha messo il turbo ad alcune cattive abitudini. Non solo. Poi ci sono la semplifica­zione della comunicazi­one politica, un grande equivoco sulla disinterme­diazione (ovvero poter fare a meno di esperti e di competenti nell’informazio­ne) e ancora altro».

E allora? Siamo immersi nel letame fino al collo come nelle storiche vignette di Altan? «Ma no, possiamo ancora farcela — argomenta Pagliaro — nel libro faccio l’esempio, tra gli altri di Jeff Bezos e la Washington Post, che considero fondamenta­le per chi pensa al futuro».

Ovvero la capacità di declinare su forme e piattaform­e nuove i contenuti tradiziona­li dell’editoria profession­ale? «Proprio così. Perché gli editori sono in grado di conquistar­e la Rete e affinché non ne vengano conquistat­i o travolti». Del resto «quello che è mancato negli ultimi anni in Italia e in Europa è la capacità dell’editoria profession­ale di utilizzare il web. Verso il quale c’è stata invece una sudditanza anche culturale», analizza ancora Pagliaro.

Una volta si diceva «l’ha detto la television­e», ora si dice «l’ha detto la Rete». In mezzo c’è stata una mediazione? «Parabola interessan­te, da approfondi­re. Certo, “l’ha detto la Rete” è la fotografia del problema, della nostra incapacità di discernere, di spiegare, di analizzare e affrontare problemi complessi con risposte articolate».

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Giornalist­a Paolo Pagliaro è co-autore di «Otto e mezzo»

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