«Il Punto» di Pagliaro Riflessione sull’informazione
L’autore: «C’è un concorso di colpa sul modo di farla»
Allarme, siamo circondati. Ma sarà bene non arrendersi alla cattiva informazione, alle fake news, alla post-verità (prima una emozione, solo dopo un fatto vero), agli abusi internettiani. Insomma, sarà bene non alzare le mani (o, peggio, far finta di nulla) di fronte a una comunicazione rozza e spesso mercenaria che solo il giornalismo responsabile riesce a contrastare.
A patto che anche lettori e frequentatori della Rete siano altrettanto virtuosi. E a condizione, anche, che chiunque si alzi al mattino, in assenza del campionato di calcio, non discetti sull’informazione deformata. Giusto per sentito dire.
Da qualche mese, abbiamo non uno strumento in più ma — verosimilmente — «lo» strumento per difenderci. E, magari, per contrattaccare con la forza delle idee e persino dell’etica. Si tratta di un libro: Punto del giornalista di lunghissimo e prestigioso corso Paolo Pagliaro, anche co-autore di «Otto e mezzo» con Lilli Gruber su La7. E che la casa editrice Il Mulino gli ha richiesto sotto forma di riflessione su presente e futuro dell’informazione. Ne è sortito un pamphlet coraggioso, irriguardoso e documentatissimo (già recensito qui dal direttore Enrico Franco il primo aprile scorso), che Pagliaro presenterà venerdì alle 17.30 al palazzo delle terme di Comano. Una pubblicazione con anche una bibliografia corposa e marcata, utile dunque ai dilettanti allo sbaraglio che purtroppo provano ad occuparsi del tema.
«Questo libro nasce alla vigilia della polemica sulla cosiddetta post-verità, dunque di stretta attualità — ragiona l’autore — e nasce dal disagio di osservare intorno a me un modo di fare informazione che non mi piace».
Ma a chi attribuire le responsabilità, secondo Paolo Pagliaro? Ai giornalisti? A chi gestisce o semplicemente (si fa per dire) legge un blog? «La responsabilità è ovviamente diffusa. Parlerei di “concorso di colpa”. E tutto nasce dall’esplosione della Rete, che ha messo il turbo ad alcune cattive abitudini. Non solo. Poi ci sono la semplificazione della comunicazione politica, un grande equivoco sulla disintermediazione (ovvero poter fare a meno di esperti e di competenti nell’informazione) e ancora altro».
E allora? Siamo immersi nel letame fino al collo come nelle storiche vignette di Altan? «Ma no, possiamo ancora farcela — argomenta Pagliaro — nel libro faccio l’esempio, tra gli altri di Jeff Bezos e la Washington Post, che considero fondamentale per chi pensa al futuro».
Ovvero la capacità di declinare su forme e piattaforme nuove i contenuti tradizionali dell’editoria professionale? «Proprio così. Perché gli editori sono in grado di conquistare la Rete e affinché non ne vengano conquistati o travolti». Del resto «quello che è mancato negli ultimi anni in Italia e in Europa è la capacità dell’editoria professionale di utilizzare il web. Verso il quale c’è stata invece una sudditanza anche culturale», analizza ancora Pagliaro.
Una volta si diceva «l’ha detto la televisione», ora si dice «l’ha detto la Rete». In mezzo c’è stata una mediazione? «Parabola interessante, da approfondire. Certo, “l’ha detto la Rete” è la fotografia del problema, della nostra incapacità di discernere, di spiegare, di analizzare e affrontare problemi complessi con risposte articolate».