Oncologia, un trentino nella task force europea
L’urologo alense Moschini nel panel dello Yau. Ricerca oncologica: traccerà le linee guida europee
Trent’anni, di Pilcante di Ala, Marco Moschini, è il più giovane associato dello Yau (Young Academic Urologists). L’urologo trentino farà parte del gruppo di lavoro che traccerà le linee guida europee della ricerca oncologica. Moschini racconta la sua passione per la matematica e poi per la medicina. «Mi piace aiutare gli altri» spiega. La passione per la ricerca e poi il lavoro in sala operatoria lo hanno portato spesso oltreconfine. Esperienze importanti in altri Paesi dal Minnesota all’Austria, all’estero. «Lì la giovinezza non è un demerito».
TRENTO Sarà un trentino a tracciare le linee guida europee della ricerca oncologica contro il cancro alla vescica: Marco Moschini, classe 1987, di Pilcante di Ala, è infatti appena diventato il più giovane associato dello Yau (Young Academic Urologists), il gruppo di lavoro costituito dall’Associazione europea degli urologi per armonizzare il tipo di trattamenti e di cure offerte ai pazienti nei diversi Paesi dell’Unione.
Dottore, quando si è iscritto al famigerato test di medicina pensava di diventare un membro di un prestigioso panel composto da dieci urologi sotto i quarant’anni provenienti da ogni angolo d’Europa e già autori di svariate pubblicazioni?
«Fin da piccolo amavo i numeri e le scienze, ma crescendo ho scoperto che stare accanto alle persone e aiutarle a risolvere i loro problemi concreti mi dava più soddisfazione che cimentarmi nei calcoli astratti e così mi sono iscritto a medicina».
Si è laureato a Milano, poi ha preso un dottorato in oncologia molecolare tra l’Italia, il Minnesota e l’Austria e adesso lavora a Lucerna, in Svizzera: quanto sono diversi tra loro questi Paesi?
«Nella pratica della medicina? Tanto! E ciò è molto costruttivo, perché permette di apprendere tecniche differenti da portare con sé nel luogo dove ci si stabilisce».
E qual è il suo luogo?
«Ancora non lo so, però spero che un giorno possa essere di nuovo l’Italia. Anche se quando si lavora all’estero è impossibile non notare, a malincuore, il maggiore grado di autonomia e responsabilità che ti viene attribuito: lì la giovinezza non è un demerito».
A proposito di giovani: la prossima settimana avrà già il primo appuntamento con la task force europea…
«Sì, saremo a Bruges in Belgio, poi a San Francisco e infine Copenaghen. Non vedo l’ora di iniziare: ci saranno colleghi di Amburgo, Zurigo, Sheffield, Parigi, tutti con qualcosa da insegnare. L’obiettivo è quello di incontrarci due, tre volte l’anno per confrontarci sui risultati delle nostre ricerche e individuare degli standard uniformi di trattamento per tutti gli ospedali dell’Unione europea che operano pazienti con il cancro alla vescica».
Preferisce la chirurgia o la ricerca?
«Ho iniziato facendo ricerca pura, mentre adesso sono tutti i giorni in sala operatoria, però credo sia importante mantenere un equilibrio tra le due cose, quindi quando sono in vacanza o a riposo, mi ritaglio del tempo per continuare a studiare e sperimentare, anche se a volte è difficile, perché, se un chirurgo vede subito il risultato delle sue fatiche, un ricercatore sa che solo difficilmente assisterà all’applicazione concreta della sua idea».
Qual è la soddisfazione più grande che le ha regalato questo lavoro?
«Le notti di guardia, quando arriva un paziente anziano al pronto soccorso che magari parla solo tedesco stretto: è bello riuscire a capirsi nonostante la barriera linguistica e sapere che, con il mio aiuto, ha potuto tornare a casa più in forze di come è arrivato. Oppure quando vengo in Italia a trovare i miei genitori e i miei compaesani mi portano la lastra di un parente o mi chiedono consiglio prima di affrontare un’operazione delicata: sono felice di poter essere utile alla gente che mi ha visto crescere».