Corriere del Trentino

Bin: «Specialità, si parla dei privilegi non delle virtù»

Il docente: «Sulle Province un dibattito per slogan». Palermo: «Colpa anche nostra»

- Silvia Pagliuca

TRENTO Cattiva reputazion­e, imperizia nell’uso degli strumenti giuridici, confusione degli obiettivi. La revisione dello Statuto della Provincia autonoma di Trento ha davanti a sé un percorso a ostacoli e a rendere ancora più difficile il suo pieno compimento è una sorta di virus interno. Uno, anzi più, germi, autoprodot­tisi negli anni che hanno portato le Province autonome a caricarsi di uno spettro negativo tale per cui, per gli italiani, le specialità sono la summa di privilegi economici e amministra­ti, il luogo degli scandali e degli sprechi. E poco contano i distinguo. Perciò, come si può, in questo clima, puntare a una revisione del primo e più importante patto che regola il rapporto tra lo Stato e le Autonomie? «Bisogna dividere i piani se si vuole avere successo. Nella revisione dello Statuto, è necessario centellina­re le modifiche, renderle poco impegnativ­e e vistose, così che possano essere accettate nell’indifferen­za generale» ha suggerito il professore Roberto Bin, università degli Studi di Ferrara, intervenen­do ieri al seminario «L’Autonomia speciale vista dai vicini».

Un’occasione per riflettere ulteriorme­nte sul lavoro portato avanti dalla Consulta, guardandol­o dall’esterno. «In questo percorso dobbiamo chiederci dove vogliamo andare e cosa vogliamo ottenere. Solo così capiremo che il secondo piano della questione, riguardant­e gli aspetti identitari e comunitari — ha continuato il professore — ha poco o nulla a che vedere con lo Statuto e potrà essere trattata direttamen­te all’interno dei confini provincial­i, con un atto normativo dedicato». Ma per riuscirci, è necessario tornare alla scientific­ità dei dati. «Si parla sempre dei privilegi delle regioni a Statuto speciale, ma non si dice mai che Trento paga da sola la sua università o che il Friuli Venezia Giulia sostiene autonomame­nte la sua sanità. E cosa accadrebbe ai comuni del bellunese se entrassero a far parte della provincia di Bolzano? Probabilme­nte dovrebbero essere rasi al suolo visto che non rispettano neanche una delle normative edilizie in vigore in Alto Adige. Ma di questo non si parla — ha rilevato Bin — i dati latitano e si va avanti per slogan, come è emerso chiarament­e anche in occasione del dibattito sulla riforma costituzio­nale».

Un sentiment che conosce bene anche il senatore Francesco Palermo, professore dell’università di Verona e direttore dell’Istituto di federalism­o e regionalis­mo dell’Eurac Research di Bolzano, che ha ricordato: «C’è un grave problema di carenza informativ­a e le responsabi­li sono le stesse Autonomie che evitano di promuovers­i. Non ci si può aspettare, in questo clima, che arrivi da parte dello Stato uno slancio positivo. Peraltro, mentre per noi la territoria­lità conta moltissimo, per il resto dei parlamenta­ri italiani non è così». Del resto, secondo l’esperienza di Palermo, onorevoli e senatori trentini e altoatesin­i sono visti come dei «lobbisti» o, peggio, come delle «sanguisugh­e». E certo non aiuta anche la diffidenza che si respira lungo il confine tra le due province. «Quando gli altoatesin­i si sono chiesti “per chi è l’autonomia speciale” si sono risposti seccamente “per noi”, non per il Trentino che ai loro occhi non esiste» riconosce Palermo.

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