Bin: «Specialità, si parla dei privilegi non delle virtù»
Il docente: «Sulle Province un dibattito per slogan». Palermo: «Colpa anche nostra»
TRENTO Cattiva reputazione, imperizia nell’uso degli strumenti giuridici, confusione degli obiettivi. La revisione dello Statuto della Provincia autonoma di Trento ha davanti a sé un percorso a ostacoli e a rendere ancora più difficile il suo pieno compimento è una sorta di virus interno. Uno, anzi più, germi, autoprodottisi negli anni che hanno portato le Province autonome a caricarsi di uno spettro negativo tale per cui, per gli italiani, le specialità sono la summa di privilegi economici e amministrati, il luogo degli scandali e degli sprechi. E poco contano i distinguo. Perciò, come si può, in questo clima, puntare a una revisione del primo e più importante patto che regola il rapporto tra lo Stato e le Autonomie? «Bisogna dividere i piani se si vuole avere successo. Nella revisione dello Statuto, è necessario centellinare le modifiche, renderle poco impegnative e vistose, così che possano essere accettate nell’indifferenza generale» ha suggerito il professore Roberto Bin, università degli Studi di Ferrara, intervenendo ieri al seminario «L’Autonomia speciale vista dai vicini».
Un’occasione per riflettere ulteriormente sul lavoro portato avanti dalla Consulta, guardandolo dall’esterno. «In questo percorso dobbiamo chiederci dove vogliamo andare e cosa vogliamo ottenere. Solo così capiremo che il secondo piano della questione, riguardante gli aspetti identitari e comunitari — ha continuato il professore — ha poco o nulla a che vedere con lo Statuto e potrà essere trattata direttamente all’interno dei confini provinciali, con un atto normativo dedicato». Ma per riuscirci, è necessario tornare alla scientificità dei dati. «Si parla sempre dei privilegi delle regioni a Statuto speciale, ma non si dice mai che Trento paga da sola la sua università o che il Friuli Venezia Giulia sostiene autonomamente la sua sanità. E cosa accadrebbe ai comuni del bellunese se entrassero a far parte della provincia di Bolzano? Probabilmente dovrebbero essere rasi al suolo visto che non rispettano neanche una delle normative edilizie in vigore in Alto Adige. Ma di questo non si parla — ha rilevato Bin — i dati latitano e si va avanti per slogan, come è emerso chiaramente anche in occasione del dibattito sulla riforma costituzionale».
Un sentiment che conosce bene anche il senatore Francesco Palermo, professore dell’università di Verona e direttore dell’Istituto di federalismo e regionalismo dell’Eurac Research di Bolzano, che ha ricordato: «C’è un grave problema di carenza informativa e le responsabili sono le stesse Autonomie che evitano di promuoversi. Non ci si può aspettare, in questo clima, che arrivi da parte dello Stato uno slancio positivo. Peraltro, mentre per noi la territorialità conta moltissimo, per il resto dei parlamentari italiani non è così». Del resto, secondo l’esperienza di Palermo, onorevoli e senatori trentini e altoatesini sono visti come dei «lobbisti» o, peggio, come delle «sanguisughe». E certo non aiuta anche la diffidenza che si respira lungo il confine tra le due province. «Quando gli altoatesini si sono chiesti “per chi è l’autonomia speciale” si sono risposti seccamente “per noi”, non per il Trentino che ai loro occhi non esiste» riconosce Palermo.