Cambiare logica può evitare la robotizzazione
La società di oggi è incline all’«usa e getta»: e così i rifiuti si accumulano Ma il segreto della vita è la metamorfosi, anche di noi stessi: l’esistenza è gioco
Il rischio è che la nostra trasformazione sia di pure menti alimentate da sola energia
Era buona prassi, una volta, di riciclare tutto: i cibi, i vestiti, il mobilio, gli attrezzi, i nomi. Si chiamava Peter il nonno e via così anche il nipote. Oggi si tende a buttare tutto.
E questo tutto si ammassa in rifiuti che, anche se ben catalogati e divisi, fanno i viaggi da qui a là. Ad esempio a Bolzano all’inceneritore, oltre ai nostri da dove arrivano i rifiuti? E cosa si fa con i rifiuti dei rifiuti?
Siamo pressati dai rifiuti, ma anche dalla coscienza che tutto questo ammasso disturbi il corso degli avvenimenti provocando catastrofi ecologiche senza ritorno.
Ci raccontano di isole di plastica che navigano negli oceani. Che succede? Influenzano la vaporizzazione delle acque, se li mangiano i pesci e noi ci mangiamo loro plastica e tutto?
E che dire della notizia che nell’acqua da bere ci sono filamenti sottilissimi, sempre di sostanze che non si degradano e che finiscono a «foderare» i nostri stomaci.
E se tutta la robotizzazione di cui si parla, altro non fosse che una plastificazione del tutto.
O meglio se a forza di pezzi di ricambio (leggi protesi) del nostro essere umani non rimanesse più nulla, nemmeno la normale capacità di pensare? Perché per me protesi non sono solo i denti, gli occhiali, le parti di gambe, piedi, mani, ma anche il delegare alle «intelligenze artificiali» la nostra «stupidità congenita».
Dove infiliamo infatti i rifiuti dei nostri pensieri affidati ai computer, i rifiuti digitali? Li accatastiamo, li ricicliamo, vale la pena conservarli e i vari cestini dove si vuotano?
Sono sistemi molto complessi, me ne rendo conto, molto sensibili ma anche molto vulnerabili. In grado di adattarsi agli elementi di disturbo che la scienza va via via inventando, compreso il sistema di assorbirli, trasformarli, trovando un nuovo equilibrio stabile, ma fino ad un certo limite, un punto critico oltre al quale anche il più piccolo elemento può provocare una catastrofe.
La natura è stata in grado di adattarsi ai disboscamenti, alle culture intensive, all’uso del carbone, al petrolio, al sovrappopolamento, alle desertificazioni, ma fino a quando?
Per sfuggire al rischio, già attuale, di catastrofi ecologiche possiamo prendere le cose sul serio e tentare qualche via o non fare un bel niente.
Mi pare che quest’ultima sia la tendenza più attuale.
Il problema è che parlare di prevenzione, precauzioni, controllo dei rischi, non serve un granché, visto che non abbiamo la più pallida idea di quali saranno veramente i rischi.
C’è qualcosa di rassicurante nell’imputare agli esseri umani la colpa dei pericoli che corre il nostro ambiente.
Bella idea. Se la colpa è nostra, siamo in tempo per ravvederci e cambiare radicalmente il nostro modo di vivere. Eccoci a riciclare la carta, il vetro, la plastica, compriamo prodotti solo biologici, cerchiamo di usare meno i mezzi inquinanti, diciamo di essere attenti al mondo che ci circonda, non calpestiamo le aiuole….
Ma cosa ci circonda? Dove è finita quella entità che abbiamo chiamata natura?
La Terra, nostro inestinguibile serbatoio pronto a dare ed assorbire è davvero quella che ci immaginiamo? Perché non esistono più le stagioni? Che cosa significano questi fenomeni atmosferici, che. vista la globalizzazione delle informazioni, ci sono sempre più vicini e minacciosi.
Ecco, parliamo di catastrofi ed è vero che di catastrofi ce ne sono state periodicamente, nel corso dei secoli e dei millenni. Certo una volta si imputavano a una rabbia divina, causata da colpe umane e si cercava di espiare, di riparare.
Oggi siamo molto attenti alle storie e alla storia. Rivoluzioni e catastrofi sono sempre accadute in modo selvaggio. Prevedibili o imprevedibili?
L’uomo è da sempre stato lupo a se stesso?
E se fossimo davvero avviati alla fine delle riserve d’acqua e di energia, di speranze, credi, morali?
Forse dovremmo prepararci a vivere in modo diverso. Mi piacerebbe sapere quale. Certo io credo di farcela a sfantare la fine, non la mia naturalmente, ma quella del mondo in cui viviamo. Troveremo ancora come umanità, un luogo, un posticino dove stare, sopravvivere, moltiplicarci, continuare?
L’altra sera ad una conferenza di Caramaschi, nostro sindaco e scrittore, l’autore auspicava per sé, fra stella e stella, uno spazio nero, vuoto, un luogo in cui riporre i propri pensieri.
Il segreto della vita è la metamorfosi, da sempre. Dobbiamo trovare la forza di cambiare e di sognare e anche di giocare perché la vita è un gioco.
Non vorrei che la nostra metamorfosi di esseri umani, si condensasse in una metamorfosi di sole menti, alimentate, visto che di sostanze naturali andiamo scarseggiando, di pura energia.
Siamo destinati a robotizzarci, anche se il termine non mi è chiaro. Spero di no o forse di sì.