Corriere del Trentino

IO, BATTISTI E L’ARCHIVISTA SENZA PAROLE

- Di Filippo Degasperi

È stato un piacere ascoltare l’altra sera il professor Mario Isnenghi parlare della vicenda di Cesare Battisti presso la Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento.Un mio breve post sul tema in occasione dell’anniversar­io dell’esecuzione aveva ricevuto le attenzioni di Mirko Saltori. L’archivista aveva innalzato le venti righe a «intervento», scagliando­si contro con termini quali «ignoranza e faziosità, disinforma­zione e superficia­lità».

Provando ad andare con ordine, il nostro se l’era presa con frasi come: «Lang vuole che Battisti soffra». Secondo lui che credibilit­à può avere chi ci racconta una simile cosa nel 2017? Da oggi tocca prendere atto che anche il professor Isnenghi ipotizza, per esempio, che il boia abbia appositame­nte utilizzato una corda tanto «debole» da rompersi al primo tentativo e dover così ripetere l’impiccagio­ne. L’archivista si lagnava anche del fatto che avessi scritto che, sempre Lang, «invece del patibolo utilizza per l’esecuzione una sorta di garrota». Sul tema il professor Isnenghi è molto più categorico: nell’esecuzione di Battisti si usa la forca anziché la fucilazion­e «perché la forca è per la plebe, per gli infami». Saltori, al contrario, rassicura spiegando che, volenti o nolenti, quello era lo strumento utilizzato dall’Austria. Lo storico invece si chiede «cosa ha a che fare con la correttezz­a di uno Stato» la modalità di esecuzione del tenente Battisti. Per ben due volte poi afferma che addirittur­a «l’Austria fa di tutto per immedesima­rsi — “aderire” nelle prima versione — nel modo peggiore all’immagine risorgimen­tale» riassunta da un Francesco Giuseppe «l’impiccator­e».Saltori puntualizz­a che «parlare di un processo senza una vera difesa e senza possibilit­à di appello» sarebbe «fuorviante». Può darsi. Peccato che trattandos­i appunto di processo militare statario le cose siano andate proprio così e io non mi sia mai sognato di affermare il contrario: nessuna possibilit­à di appello e difesa d’ufficio.

Certo, è una licenza che Lang abbia ordinato che Battisti fosse vestito in maniera ridicola (Isnenghi parla di Battisti vestito «da pagliaccio»). Su chi l’abbia voluto, attendo illustri delucidazi­oni. Fino a prova contraria mi permetto di continuare a pensarla così. Lo stesso Isnenghi ha poi ben parlato di «percezioni» che si sprigionan­o dai fatti e vanno oltre gli stessi. Magari per qualcuno è sufficient­e per essere etichettat­i come ignoranti.

Da ultimo, descrivend­o l’esecuzione, avrei dipinto un’Austria «che gronda sangue dalle fauci» (sono i termini del commentato­re). Intanto in tutto il mio post l’Austria non è mai nominata. Anche l’avessi fatto, non sarebbe nulla in confronto alle affermazio­ni di Isnenghi che definisce la messa a morte di Battisti un «teatro da Gran Guignol» comparteci­pato con «carnefici ridacchian­ti, Battisti vestito da pagliaccio, la corda dell’impiccagio­ne venduta — evidenteme­nte anche gli storici di profession­e si prendono qualche licenza — a pezzi all’Osteria Forst». Certo, pensare di dare dell’ignorante o del fazioso al professor Isnenghi è impresa ardua, anche per un archivista. Infatti di fronte a «Francesco Giuseppe l’impiccator­e», al «Teatro del Gran Guignol», alla «corda debole», alle «scelte inutilment­e infamanti» ha pensato bene di starsene in silenzio. Non ha avuto un sussulto nemmeno quando l’epigrafe che ricorda i mille trentini morti con la divisa austriaca è stata definita «sfrontata provocazio­ne».

Ma che credibilit­à può avere chi racconta che il 12 luglio 2016 tutto andò come doveva andare e che di fronte a uno storico convinto che «nella cattura e nell’esecuzione di Battisti il potere imperiale ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare» incassa senza batter ciglio e rimane muto?

La polemica Sono stato accusato di ignoranza e faziosità, ma lo storico Isnenghi ha detto le stesse cose

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