IO, BATTISTI E L’ARCHIVISTA SENZA PAROLE
È stato un piacere ascoltare l’altra sera il professor Mario Isnenghi parlare della vicenda di Cesare Battisti presso la Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento.Un mio breve post sul tema in occasione dell’anniversario dell’esecuzione aveva ricevuto le attenzioni di Mirko Saltori. L’archivista aveva innalzato le venti righe a «intervento», scagliandosi contro con termini quali «ignoranza e faziosità, disinformazione e superficialità».
Provando ad andare con ordine, il nostro se l’era presa con frasi come: «Lang vuole che Battisti soffra». Secondo lui che credibilità può avere chi ci racconta una simile cosa nel 2017? Da oggi tocca prendere atto che anche il professor Isnenghi ipotizza, per esempio, che il boia abbia appositamente utilizzato una corda tanto «debole» da rompersi al primo tentativo e dover così ripetere l’impiccagione. L’archivista si lagnava anche del fatto che avessi scritto che, sempre Lang, «invece del patibolo utilizza per l’esecuzione una sorta di garrota». Sul tema il professor Isnenghi è molto più categorico: nell’esecuzione di Battisti si usa la forca anziché la fucilazione «perché la forca è per la plebe, per gli infami». Saltori, al contrario, rassicura spiegando che, volenti o nolenti, quello era lo strumento utilizzato dall’Austria. Lo storico invece si chiede «cosa ha a che fare con la correttezza di uno Stato» la modalità di esecuzione del tenente Battisti. Per ben due volte poi afferma che addirittura «l’Austria fa di tutto per immedesimarsi — “aderire” nelle prima versione — nel modo peggiore all’immagine risorgimentale» riassunta da un Francesco Giuseppe «l’impiccatore».Saltori puntualizza che «parlare di un processo senza una vera difesa e senza possibilità di appello» sarebbe «fuorviante». Può darsi. Peccato che trattandosi appunto di processo militare statario le cose siano andate proprio così e io non mi sia mai sognato di affermare il contrario: nessuna possibilità di appello e difesa d’ufficio.
Certo, è una licenza che Lang abbia ordinato che Battisti fosse vestito in maniera ridicola (Isnenghi parla di Battisti vestito «da pagliaccio»). Su chi l’abbia voluto, attendo illustri delucidazioni. Fino a prova contraria mi permetto di continuare a pensarla così. Lo stesso Isnenghi ha poi ben parlato di «percezioni» che si sprigionano dai fatti e vanno oltre gli stessi. Magari per qualcuno è sufficiente per essere etichettati come ignoranti.
Da ultimo, descrivendo l’esecuzione, avrei dipinto un’Austria «che gronda sangue dalle fauci» (sono i termini del commentatore). Intanto in tutto il mio post l’Austria non è mai nominata. Anche l’avessi fatto, non sarebbe nulla in confronto alle affermazioni di Isnenghi che definisce la messa a morte di Battisti un «teatro da Gran Guignol» compartecipato con «carnefici ridacchianti, Battisti vestito da pagliaccio, la corda dell’impiccagione venduta — evidentemente anche gli storici di professione si prendono qualche licenza — a pezzi all’Osteria Forst». Certo, pensare di dare dell’ignorante o del fazioso al professor Isnenghi è impresa ardua, anche per un archivista. Infatti di fronte a «Francesco Giuseppe l’impiccatore», al «Teatro del Gran Guignol», alla «corda debole», alle «scelte inutilmente infamanti» ha pensato bene di starsene in silenzio. Non ha avuto un sussulto nemmeno quando l’epigrafe che ricorda i mille trentini morti con la divisa austriaca è stata definita «sfrontata provocazione».
Ma che credibilità può avere chi racconta che il 12 luglio 2016 tutto andò come doveva andare e che di fronte a uno storico convinto che «nella cattura e nell’esecuzione di Battisti il potere imperiale ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare» incassa senza batter ciglio e rimane muto?
La polemica Sono stato accusato di ignoranza e faziosità, ma lo storico Isnenghi ha detto le stesse cose