Operaio morto, Marangoni a giudizio I famigliari: vogliamo solo giustizia
L’azienda offre un risarcimento di 150.000 euro. Il figlio: «Fiducia nella giustizia»
Si difenderanno in un processo pubblico Giovanni Marangoni e il medico del lavoro, Marco Fabbri, accusati di omicidio colposo per la morte di Carmine Minichino, l’operaio di 54 anni, stroncato il 22 luglio del 2015 da un «colpo di calore». Il gup Monica Izzo ha rinviato a giudizio anche la società, chiamata in causa per la responsabilità civile. La famiglia: vogliamo solo giustizia.
TRENTO «Il caso è complesso e chiede un accertamento giudiziario articolato» ammette l’avvocato Andrea Tomasi, al termine dell’udienza preliminare. «Speriamo di poter fare il giudizio serenamente, la vicenda è complicata e il processo pubblico è la sede adeguata» aggiunge.
Si difenderà davanti a un giudice dibattimentale il patron della Marangoni, Giovanni Marangoni, accusato di omicidio colposo per la morte di Carmine Minichino, il dipendente della nota azienda produttrice di pneumatici, morto a 54 anni, il 22 luglio del 2015, a causa di un «colpo di calore» subìto mentre lavorava a una temperatura di circa 40 gradi. Ieri mattina il gup Monica Izzo ha rinviato a giudizio il datore di lavoro, Giovanni Marangoni, e il medico, Marco Fabbri, imputato in concorso con l’imprenditore. Rinviata a giudizio anche la spa, come responsabile civile. Il giudice ha infatti accolto l’istanza della famiglia di Carmine Minichino, rappresentata dall’avvocato Giovanni Guarini, di fatto respingendo la richiesta della difesa della società che durante la lunga udienza di ieri mattina aveva chiesto l’esclusione dal processo della società.
Una decisione importante per la famiglia dell’operaio di Volano. È soddisfatto l’avvocato Guarini: «I miei assistiti potranno avere in un processo pubblico verità e giustizia per Carmine Minichino».
Nel corso dell’udienza la difesa di Marangoni ha offerto anche 150.000 euro complessivi, 65.000 euro per ciascun figlio e 10.000 euro per i due fratelli come acconto per il risarcimento del danno. Ma non sono i soldi la priorità della famiglia Minichino, chiedono giustizia e di conoscere la verità sulla morte di Carmine, che si è spento due ore dopo l’improvviso malore avuto nel reparto di vulcanizzazione dove stava lavorando. «Un reparto — ha precisato il Cobas, parte civile nel processo — si sfiorano i cinquanta gradi». «Abbiamo piena fiducia nella giustizia, nei giudici e nella Procura» ha detto il figlio di Carmine, Salvatore. Il processo è stato fissato per il 23 gennaio, ma la vicenda è molto delicata. Sul fatto che Minichino sia morto a causa del calore eccessivo del luogo di lavoro paiono sussistere pochi dubbi. Il referto medico del decesso parla di «insufficienza cardiocircolatoria secondaria a shock da ipertermia». Minichino fu trovato in stato di incoscienza dai colleghi. Fu ricoverato in «coma con ipertermia», trasferito in rianimazione dove morì alle 3.45 della mattina seguente. Il punto che resta, invece, da chiarire è se l’ipertensione di cui soffriva sia stata o meno concausa del decesso. Il medico legale Dario Raniero dell’Istituto di medicina legale di Verona, incaricato dalla Procura per far luce sulla tragedia, ipotizzava la concausa.
In sintesi il malore iniziale potrebbe essere stato causato non solo dal calore, ma anche dallo stato di salute dell’operaio, mentre per il consulente della famiglia, il dottor Gaetano Thiene dell’università di Padova, l’ipertensione non fu una concausa della morte di Minichino.