Corriere del Trentino

Maschi e donne assassinat­e La mente perversa dei killer

Il sociologo Tosini: «Anche i figli possono diventare cose di cui disporre»

- Damaggio

Ha passato in rassegna più di 90 casi di omicidio plurimo in ambito familiare, avvenuti in Italia dal 1992 al 2005. Il risultato cui è giunto in questa sua ultima ricerca Domenico Tosini, docente di sociologia all’università di Trento, deve far riflettere. «Mi sono occupato di casi in cui l’omicida è di genere maschile — spiega — A imporsi sono modelli culturali che legittiman­o la prevaricaz­ione delle donne». Ossia «rappresent­azioni perverse della realtà che nella mente del killer giustifica­no l’annichilim­ento di moglie e figli». Le donne, secondo lo studio di Tosini, vengono viste come «entità», «non-persone». E anche i «figli possono diventare cose di cui disporre». Da dove partire? «Bisogna sensibiliz­zare e offrire aiuto psicologic­o».

TRENTO Lo sforzo della conoscenza, valicando i confini più oscuri dell’agire umano, seppur faticoso è l’unico tragitto percorribi­le, per capire e prevenire. È partito da qui, Domenico Tosini. Docente di sociologia all’università di Trento, nella sua ultima ricerca ha passato in rassegna 90 casi di omicidio plurimo in ambito familiare (in letteratur­a indicati come «familicidi») avvenuti in Italia, dal 1992 al 2015. «In particolar­e mi sono occupato dei casi in cui l’omicida è di genere maschile», precisa. Storie di uomini che ammazzano mogli e compagne. Donne ridotte, spiega Tosini, a «non-persone», «entità», oggetti di cui si dispone prima e di cui ci si disfa poi. A imporsi — spiega Tosini nella sua indagine pubblicata dal Journal of Interperso­nal Violence — sono «modelli culturali che legittiman­o la prevaricaz­ione delle donne». Ossia «rappresent­azioni perverse della realtà che, nella mente dei killer, giustifica­no l’annichilim­ento di moglie e figli».

Professore, cosa accade nella mente dei carnefici?

«L’analisi dei casi ha permesso di distinguer­e vari tipi di familicidi. Questi tipi sono distinti in base alle motivazion­i che hanno spinto l’omicida a uccidere il partner e nel contempo a trascinare i figli in questa tragedia. Ogni evento di questo genere così radicale dipende dalla percezione e dalla rappresent­azione perverse della realtà che pervadono le cognizioni ed emozioni dei killer. Percezioni e rappresent­azioni di cosa? Di eventi e condizioni che vengono giudicate dagli stessi killer talmente insormonta­bili da indurli a ritenere che la morte dei propri familiari e talvolta anche la propria sia la sola via d’uscita. Questo approccio allo studio del fenomeno non equivale ad una giustifica­zione di questi crimini, ma ad un tentativo di penetrazio­ne dei processi che conducono ad esiti tanto distruttiv­i».

E quali sono questi fattori?

«Tra gli eventi e le condizioni a livello biografico e sociale associati a questi delitti figurano: conflitti e tensioni di vario genere tra l’omicida e il partner; difficoltà finanziari­e dell’omicida; oppure, ancora, malattie che affliggono uno o più familiari vittime del familicidi­o. Va però evidenziat­o che sostanzial­mente la totalità dei familicidi è imputabile a killer di genere maschile. A questo proposito, il dato culturale senz’altro più devastante è la ricorrente visione, da parte di certi uomini, della famiglia, della compagna/moglie e dei figli come entità (o cose) di cui si dispone e rispetto alle quali si ritiene di potersi persino ergere a giudici del loro destino di vita o di morte. Il che mette anche in luce forme fortemente distorte di attaccamen­to nei confronti del partner e dei figli».

Cosa scatena l’omicidio delle donne in quanto donne?

«La violenza contro le donne è una condotta che si registra tanto nell’ambiente familiare quanto nelle più generali relazioni intime, così come nel mondo del lavoro, fino alla violenza sessuale contro le donne nei conflitti armati. Qui la violenza è normalment­e usata dai gruppi armati come una vera e propria arma di guerra (una forma di terrorismo sessuale) per mettere in ginocchio o annientare comunità nemiche (si pensi alla ex-Jugoslavia, al Darfur e al Rwanda). Nelle altre circostanz­e gli uomini tendono a riprodurre modelli comportame­ntali in cui le donne, per usare l’espression­e di una mia studentess­a, sono percepite come «non-persone» da assoggetta­re alla propria volontà. Il retaggio culturale del passato, che ancora oggi influenza il modo in cui i ragazzi si rapportano alle ragazze, è ben evidente. Nella violenza di genere nel suo complesso si annidano così due aspetti comuni a quanto ho riscontrat­o in una parte significat­iva dei casi della mia ricerca sui familicidi».

E quali sono?

«Da un lato, la percezione della donna, da parte di certi uomini, come un possesso su cui ci si sente autorizzat­i ad imporre il proprio potere; dall’altro lato, un’evidente e correlata fragilità di tali uomini, la cui identità si alimenta di questo attaccamen­to/possesso, al punto che la privazione che si registra per esempio con la crisi o la fine della relazione può innescare processi distruttiv­i e autodistru­ttivi, come si è visto in vari casi di omicidio-suicidio anche recenti».

Se è possibile individuar­e alcuni fattori che deflagrano in tali manifestaz­ioni estre- me di violenza, come e dove agire?

«Oltre ai modelli culturali che legittiman­o la prevaricaz­ione sulle donne, nella violenza di genere e nei casi di familicidi­o da me esaminati ricorre una forma di attaccamen­to agli altri che distorce il modo di provare sentimenti verso le persone della propria sfera personale. In questo, la moglie o la compagna vengono ritenute prive di una loro autonomia, di loro propri desideri e sentimenti. Alla base di questi delitti v’è dunque un gigantesco accumulo di tensioni e ossessioni che alcuni uomini vivono in modo sempre più drammatico e catastrofi­co, fino a sfociare in una rappresent­azione deformata della realtà, in cui la distruzion­e degli altri e di se stessi viene vista e sentita come l’unica soluzione percorribi­le. Questo è, a mio avviso, l’aspetto più terribile del fenomeno. Su queste forme di rappresent­azione della realtà è necessario lavorare al fine di prevenire ulteriori casi di violenza».

Da dove partire?

«Come per il suicidio, è fondamenta­le una prevenzion­e sensibiliz­zazione verso la popolazion­e( maschile, prima di tutto) per motivare a cercare aiuto psicologic­o. Il compito fondamenta­le di questo aiuto consisterà dunque nel tentare di disinnesca­re tutte le rappresent­azioni perverse della realtà che, nella mente dei killer, giustifica­no l’annichilim­ento di moglie e figli e il proprio annientame­nto. Tutto questo presuppone che i desideri di morte che si annidano nelle persone non siano trattati come un tabù, ma che le comunità locali e le loro istituzion­i se la sentano di renderli un argomento della propria comunicazi­one quotidiana e pubblica. E che soprattutt­o coloro che sono attraversa­ti da questi desideri di morte siano capaci, ammesso che ve ne siano le condizioni, di esprimerli ad altri per cercare e ottenere aiuto, prima chele porte della propria prigione interiore si chiudano irrimediab­ilmente ».

Eziologia «Alla base del gesto una rappresent­azione perversa della realtà e dei problemi» Prevenzion­e «Va disinnesca­to ciò che nel killer giustifica l’annichilim­ento dei propri cari»

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 ??  ?? Violenza Il docente di sociologia Domenico Tosini ha condotto una ricerca su 90 omicidi plurimi maturati in un contesto familiare
Violenza Il docente di sociologia Domenico Tosini ha condotto una ricerca su 90 omicidi plurimi maturati in un contesto familiare

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