«Fine vita, vanno approvate leggi coerenti»
Riflessione su bioetica e biodiritto ieri alla Scuola Langer da parte di Carlo Casonato, docente di Giurisprudenza e membro del Comitato nazionale per la bioetica: «Leggi nuove sul fine vita».
TRENTO «È lecito, e prima ancora etico, utilizzare l’ingegneria genetica per rimuovere dall’embrione i geni che gli provocano la talassemia? E per farlo nascere più muscoloso?». È partita da qui, ieri alla Scuola Langer, la riflessione sul futuro della bioetica di Carlo Casonato, docente alla facoltà di Giurisprudenza di Trento, che ha subito rincarato la dose, chiedendo: «E se usassimo sì l’eugenetica per rendere un bimbo più prestante, ma al fine di evitargli una distrofia?». «Ad oggi — continua il professore di diritto costituzionale e membro del Comitato nazionale per la bioetica — queste domande riguardano la ricerca di base, ma presto il progresso scientifico ci permetterà di mutuarle nel campo della ricerca applicata».
Vivere in un’epoca dove l’attività umana modifica sempre più incisivamente sé stessa e il pianeta comporta notevoli potenzialità, ma anche dilemmi su cui è necessario riflettere. «Pensiamo ai robot — dice Casonato — che come gli uomini possono collegarsi a Internet e apprendere, attraverso il deep learning, nozioni diverse rispetto a quelle con cui sono stati costruiti». Ma allora se fanno danni chi risponde? Il programmatore? Il fabbricante? O l’utilizzatore, come nel caso dell’automobilista californiano che, avendo un veicolo a guida autonoma capace di frenare in presenza di ostacoli, si è distratto al volante ed è andato a sbattere, morendo sul colpo, contro un camion con dipinte sopra delle nuvole che i sensori dell’auto avevano scambiato per il cielo naturale, senza dunque rallentare? Un episodio che sembra tratto da un romanzo di Stephen King, ma che fa riflettere sulla relazione tra autonomia e responsabilità e sul ruolo che lo Stato deve ritagliarsi nel loro bilanciamento. E proprio al legislatore si appella il professore afartificiale, finché «permetta agli italiani di concludere la propria vita in modo coerente con la propria struttura morale». A oggi, se i pazienti costretti a trattamenti sanitari anche vitali possono decidere di rifiutarli, i malati pur gravi e terminali che non hanno bisogno di supporti esterni, come la respirazione non possono fare ricorso all’eutanasia e si trovano costretti a togliersi la vita quando ancora hanno la forza fisica per farlo, a rischiare che i propri cari incorrano nel reato di assistenza al suicidio, punibile con dodici anni di reclusione, o a non morire come vorrebbero. Una scelta che le Corti supreme di altri Paesi, come il Canada, non esitano a definire «crudele». «Si pensi a dj Fabo — conclude Casonato — lo Stato italiano gli avrebbe permesso di rifiutare la ventilazione, ma essendo i polmoni parzialmente funzionanti, avrebbe significato costringerlo a un suicidio lungo un mese. Una scelta crudele, ma anche — concorda la platea — lesiva di quella dignità della persona che è valore fondante del nostro ordinamento».