FRONTIERE E CITTADINANZA
Il tema dei migranti, nella sua accezione più ampia (che ricomprende i richiedenti asilo e i rifugiati, cioè chi ha ottenuto lo status), sembra essere condiviso a ogni latitudine, come dimostra il caso dei Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata in Myanmar e respinta in India. Del resto coloro che sono stati indotti a lasciare il Paese di origine nell’ultimo anno per persecuzioni, violazione dei diritti umani, guerre, disastri ambientali sono 65,6 milioni (22,5 milioni i rifugiati, più della metà di età inferiore a 18 anni). Alla fine del 2016 in Europa ne sono stati ospitati 3,5 milioni (lo 0,68% della popolazione del Vecchio continente). In Trentino solo i richiedenti asilo sono 1.713.
Rispetto alla portata del fenomeno destinato ad acuirsi per le condizioni climatiche — entro il 2050 gli esiliati ambientali potrebbero oscillare dai 50 ai 350 milioni — sono interessanti alcuni aspetti. Il primo è che, a differenza di quanto si possa credere, il mondo contemporaneo ha osservato una proliferazione di confini, «di delimitazioni simboliche, linguistiche, culturali e urbane che non sono più articolate in modi fissi dal confine geopolitico» e che dunque ridisegnano spazi di esclusione, dominio e sfruttamento come hanno rilevato Sandro Mezzadra e Brett Neilson in «Confini e frontiere» (Il Mulino). Tale proliferazione non ha impedito l’erosione dello Stato nazione e ha anzi inciso su numerosi aspetti che riguardano la sfera dell’individuo, tra cui lavoro e cittadinanza.
Il secondo elemento investe proprio la cittadinanza. Le persone si spostano per mille ragioni, le impalcature istituzionali si modificano, le società evolvono, eppure la cartografia dei diritti rimane statica. «Cittadinanze postcoloniali» (Carocci) è il concetto che titola il lavoro di Miguel Mellino e «sta ad indicare una crisi della cittadinanza moderna: una restrizione e gerarchizzazione dei diritti che ha provocato la ricomparsa all’interno dello stesso territorio europeo di quella distinzione di origine coloniale tra cittadino e suddito». Aihwa Ong coglie una sfumatura parlando di «cosmopolitismo selettivo». Approcciare questo «spazio proteiforme», come definiva Frantz Fanon le colonie e come è ora un po’ la nostra società, è compito di un’Autonomia responsabile. La migrazione è un fenomeno strutturale. Il problema è ridefinire la cittadinanza, gli status giuridici e i diritti individuali e collettivi in una direzione differente. Perché il popolo dei migranti rappresenta, in qualche misura, la nuova minoranza regionale.