Corriere del Trentino

Garante detenuti «I cittadini vanno coinvolti»

Menghini: «La recidiva scende con le misure alternativ­e»

- Pisani

Antonia Menghini, neo Garante dei detenuti, parla dopo l’investitur­a del consiglio provincial­e. «I diritti dei detenuti vanno difesi partendo dalla politica, dalle istituzion­i e dai cittadini» dice.

Possibile pensare ai diritti dei detenuti quando imperversa­no populismo e demagogia? Sì, anche se mettere insieme due parole come diritti e detenuti sembra un ossimoro. «I cittadini devono essere sensibiliz­zati — dice Antonia Menghini, professore­ssa aggregata di diritto penitenzia­rio presso la Facoltà di Giurisprud­enza dell’Università di Trento e ora neo eletta Garante dei detenuti —. Il lavoro da fare è molto e questo sarà uno degli obiettivi del mio mandato, anche attraverso il coinvolgim­ento delle istituzion­i e della politica». Menghini, esperta di diritto penitenzia­rio, è stata nominata Garante dal Consiglio Provincial­e dopo otto anni di attesa.

Di che cosa si occuperà?

«Contribuir­ò a garantire l’effettivo esercizio dei diritti dei detenuti attraverso la promozione di interventi, azioni e segnalazio­ni».

In genere, l’idea è che la detenzione sia un’espiazione della colpa per reati commessi. Una punizione.

«L’idea retributiv­a della pena, e in particolar­e di quella privativa della libertà, è ancora fortemente radicata. Vanno tuttavia promossi percorsi di rieducazio­ne, peraltro espressame­nte previsti dal nostro ordinament­o. Lo dice anche l’articolo 27 comma 3 della Costituzio­ne. Ritengo che la tutela dei diritti dei detenuti sia funzionale a un pieno riconoscim­ento della dignità della persona. Il cammino per il riconoscim­ento e la tutela di tali diritti è stato lungo e difficile e non può dirsi certo concluso. Dopo l’approvazio­ne della legge sull’Ordinament­o penitenzia­rio del 1975, la giurisprud­enza, soprattutt­o costituzio­nale, ha dato un contributo fondamenta­le in questo senso».

L’Italia però è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani.

«Nel 2013 siamo stati condannati dalla Corte di Strasburgo nel caso Torreggian­i, per la grave situazione di sovraffoll­amento carcerario. L’Italia ha violato l’articolo 3 Cedu che vieta i trattament­i disumani e degradanti, perché nel caso di specie i ricorrenti erano ristretti in una superficie inferiore a tre metri quadrati a testa».

Il sovraffoll­amento delle carceri e la mancanza di personale penitenzia­rio ha raggiunto livelli di cronicità anche nel carcere di Trento.

«Le difficoltà dovute alla mancanza di risorse sono cosa nota e, solo per fare un esempio, la sorveglian­za dinamica che prevede l’apertura delle celle, ha di certo contribuit­o ad aggravare i compiti del personale. Dati positivi invece sono legati al fatto che oggi abbiamo un direttore che si occupa esclusivam­ente della struttura di Spini e non è più a scavalco e che è stato nominato un nuovo presidente del Tribunale di sorveglian­za. Sono quindi ottimista e confido che si possano trovare delle soluzioni».

In che modo?

«Attraverso un percorso di ampio respiro. Sarà necessario innanzitut­to raccoglier­e le istante di tutti i soggetti interessat­i e quindi attivare dei processi virtuosi, in stretta sinergia con le varie istituzion­i coinvolte, sensibiliz­zando allo stesso tempo su tutti i problemi i cittadini e le autorità.

Nei programmi politici, economici e sociali a tenere banco è il tema della sicurezza. Come pensa di farsi ascoltare?

«Nessuno, o pochi, consideran­o i diritti dei detenuti un tema capace di aggregare consenso. I media si concentran­o troppo spesso esclusivam­ente sul problema della sicurezza. Anche su questo piano credo che il garante possa dare il proprio contributo. Solo un dato: in pochi sanno che i casi di recidiva sono dell’80% se la pena si sconta totalmente in carcere, mentre scendono al 19% se si applicano misure alternativ­e».

Un altro tema sensibile è la presenza degli immigrati nelle carceri.

«La percentual­e di soggetti stranieri si aggira mediamente intorno 33% quasi in tutte le realtà carcerarie italiane. Diventa dunque fondamenta­le predisporr­e un percorso rieducativ­o che tenga conto delle caratteris­tiche specifiche e dei bisogni dei soggetti ristretti. La maggior parte degli stranieri necessita di corsi di alfabetizz­azione primaria, senza i quali non è immaginabi­le l’attivazion­e di alcun percorso rieducativ­o».

Lei arriva dal mondo universita­rio. Pensa che la sua preparazio­ne influenzer­à il suo lavoro di Garante?

«Credo che gli anni di ricerca in questo specifico settore e le iniziative già promosse a livello nazionale e internazio­nale possano essere un’adeguata base di partenza in un’ottica costruttiv­a e mi sembra molto positivo che le competenze dei docenti e degli studiosi universita­ri vengano messe a servizio del territorio».

Sinergia Nella promozione servono azioni e interventi mirati Dobbiamo sensibiliz­zare anche i cittadini

Il tema Gli immigrati rappresent­a no il 33% della popolazion­e carceraria Cruciale diventa l’istruzione

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