Arte è libertà di capire
Museion, si alza stasera il sipario su «Installation Art»: tre piani di opere Ragaglia: l’ambiguità dei lavori riflette una realtà frammentata ma più vera
Letizia Ragaglia ha citato Umberto Eco per presentare Installation Art l’esposizione di opere della collezione Museion che verrà inaugurata questa sera (alle 19) e che resterà aperta fino al 23 settembre 2018: «A un mondo ordinato secondo leggi universalmente riconosciute si è sostituito un mondo fondato sulla ambiguità, sia nel senso negativo di una mancanza di centri di orientamento, sia nel senso positivo di una continua rivedibilità dei valori e delle certezze».
Una citazione che «incornicia» perfettamente il percorso espositivo ma che si completa con una frase che la direttrice di Museion, per l’occasione anche curatrice, ha ripetuto ben tre volte in sede di presentazione: «La percezione delle opere cambia a seconda del bagaglio culturale del visitatore».
L’arte contemporanea ha fatto dell’ambiguità un punto di forza, ma in questo caso il gioco è esplicito sin dall’opera che accoglie il visitatore all’ingresso di Museion. Si tratta di Eppur si
muove, una ruota rossa a raggiera in gomma piuma. La didascalia la descrive come «Una ruota di un carro simbolo della comunità Rom, l’autore Luca Vitone elabora l’idea di nomadismo ingrandendo il simbolo Rom trasformandolo in un divano di gommapiuma verniciato di rosso che gioca con termini opposti: movimento e stasi».
Non saranno pochi, però, i visitatori che osservando l’opera di Vitone penseranno a un segnaposto in formato gigante del gioco di società «Trivial Pursuit». Ambiguità e bagaglio culturale, appunto.
Lo stesso discorso può valere per I believe in
the Skin of Things as in that of Women (Credo nella pelle delle cose come in quella delle donne), opera di Monica Bonvicini che «è un attacco alla storia dell’architettura caratterizzata dal dominio maschile» ma che è anche, innegabilmente, la copia di un bagno pubblico, tra scritte volgari e tipici buchi da «guardoni» nelle pareti. Ma non è finita qui. Si potrebbe continuare con l’opera «instabile» di Miroslaw Balka che farebbe la gioia degli skater o Channel Fall/
Winter (di Sylvie Fleury) un «red carpet» con al centro le «fotomodelle» trasformato in una «volgarissima» moquette rossa a pelo lungo. Il tappeto simbolo dell’esposizione pubblica ridotto a un ambiente privato. Stesso discorso per il biergarten (del collettivo danese «Superflex») dove la «free beer», (la birra gratis) costa due euro e mezza alla bottiglia.
Ma per definire con più precisione cosa intenda con il termine «ambiguità», Letizia Ragaglia ha citato l’artista Luis Jacob: «Non riteniamo l’arte più reale del reale perché ci mostra un altro mondo e nemmeno perché ci avvicina alla nostra realtà, bensì perché ci permette di percepire l’essenza della realtà nella sua intrinseca ambiguità». L’artista è consapevole che quasi nessun visitatore della mostra potrà riconoscere ogni singola immagine tra le 162 contenute nel suo Album VI, 2008, ma il suo intento è stimolare il pubblico, a seconda delle inclinazioni individuali, a creare libere associazioni generando nuovi significati. In questo senso, secondo Letizia Ragaglia «l’opera di Jacob riassume l’intero approccio della mostra. Il percorso attraverso le opere di Installation Art è intenzionalmente dedicato a un pubblico emancipato che assume un ruolo attivo nel confronto con l’opera d’arte, compiendo e ricompiendo essenzialmente un grande atto di libertà».
Volute ambiguità a parte, il percorso espositivo si fa particolarmente apprezzare proprio per l’invito a farsi coinvolgere dalle installazione esposte, a vivere l’arte anche come «gioco» per migliorarne la «frequentazione». Senza paure e senza pregiudizi.
Non a caso, per l’inaugurazione di questa sera e per «La lunga notte dei Musei» (in programma il 1° dicembre) verrà attivata l’opera di Werner Gasser To be continued_2 (2015-16), un ufficio postale in miniatura, con la possibilità di scrivere e spedire le cartoline che riproducono fotografie di viaggi dell’artista.
Una citazione a parte meritano le «opere luminose» della mostra, come l’installazione di Spencer Finch Blue (Sky over Los Alamos, New Mexico, 5/5/00, Morning Effect): 173 lampadine pendono dal soffitto riproducendo la struttura molecolare di una specifica tonalità di blu o l’opera storica di Otto Piene, Lichtballett (Lichtkugel) del 1961 che getta una luce “nuova” sulle pareti del museo e sui visitatori. Lavora su luci e ombre anche il grande disco luminoso rotante “Große Lichtscheibe” di Günther Uecker, mentre “Collection 2010”, di Massimo Bartolini avvolge il visitatore nelle immagini della collezione di opere di videoarte di Museion.