UOMO, RELIGIONE E VIOLENZA
La connessione tra religione e violenza alimenta trasmissioni televisive, giornali e convegni, come quello che si terrà da martedì alla Fondazione Bruno Kessler di Trento. È diventata quasi un chiacchiericcio da salotto, e i riflettori si sono accesi dopo la comparsa del cosiddetto «terrorismo islamico». Già questo suscita qualche sospetto, poiché il problema del rapporto tra religione e violenza è oggetto di studio scientifico da tempo, ma solo ora è diventato pretesto per sollecitare l’attenzione morbosa del pubblico. La violenza è connessa all’animalità dell’essere umano in quanto tale: Thomas Hobbes diceva che homo homini lupus, ogni individuo ha la tendenza a impadronirsi di ciò che è d’altri. Per cui è strettamente legata alla religione in quanto fenomeno umano. E non penso soltanto alla «distinzione mosaica», come la definisce il famoso storico tedesco Jan Assmann, cioè la netta contrapposizione tra vero e falso, tra l’unico Dio e i molti dèi, con la conseguente repressione del dissenso e della diversità, che i monoteismi conterrebbero, per così dire, nel loro codice genetico. Penso anche alla misconosciuta violenza che solca le religioni «orientali», solo apparentemente fondate sull’amore della natura e sulla pace incondizionata: in Birmania o in Sri Lanka esistono organizzazioni di buddhisti guerrieri che invocano il massacro dei «non credenti»; l’hinduismo non solo legittima la divisione in caste e l’emarginazione dei paria, ma brucia i templi degli aderenti ad altre fedi. È necessario evitare molti fraintendimenti. Il più grave è l’essenzialismo, cioè l’idea che le religioni siano monolitiche, sempre uguali a se stesse. Sono invece ideologie umane, dunque intimamente plurali e differenziate: hanno una storia, che spesso tradisce la loro stessa ispirazione «divina», ed evolvono a seconda dei contesti sociali, politici, economici. Altrettanto pericolosa è la convinzione di possedere la «verità» che ispira tutti i «fondamentalismi» — religiosi e laici — contemporanei. La presunzione di essere sempre dalla parte del giusto, perché i «nostri» valori sono quelli «universali», è la forma più subdola che esista di xenofobia. Nel mondo globalizzato in cui la perdita del «senso», quella che Nietzsche chiamava la «morte di Dio», disgrega i rapporti umani, il problema autentico a mio parere non è la violenza, ma la giustizia. Se fosse implementata la giustizia, si darebbe molto meno agio a coloro che credono di aver subito torti di far ricorso alla violenza.