UNIVERSITÀ ACCESSIBILE A TUTTI UN FATTO DI GIUSTIZIA SOCIALE
Giornali e televisioni annunciano che l’Italia, purtroppo, è molto indietro rispetto alla media europea nella preparazione culturale degli studenti. Senza voler essere in alcun modo polemico, osservo che ai miei tempi l’università era aperta soltanto a coloro che avevano raggiunto la «maturità» di licei classici e scientifici, i soli che al tempo erano ritenuti capaci di poter dare una preparazione all’altezza e una visione del mondo più ampia. Poi dopo la seconda guerra mondiale, per una benevola e forse giusta concezione ideologica di sinistra, tutte le scuole sono state denominate licei e l’università è stata aperta anche alle professionali più settoriali che, per la loro impostazione minoritaria, difficilmente possono dare una preparazione analoga a quella dei vecchi licei. In contemporanea, nelle scuole elementari e medie per non intristire i fanciulli non si boccia più. Cosicché i ragazzi non vengono più sollecitati a impegnarsi nella loro preparazione, non fanno più una gara fra loro, non viene insegnato come studiare, non hanno più un corretto rispetto per gli insegnanti e spesso non sanno scrivere in un italiano corretto. La maturità non costringe più ad avere una preparazione globale data da professori di materie difficili. Al tempo dei «clerici vagantes», e fino all’ultimo dopoguerra, per entrare in un ateneo si doveva sottostare a una iniziazione particolare, ora ai laureati ci si permette di cantare una canzone di pessimo gusto. Occorre forse ritornare a una maggiore severità e compostezza, come osservava il mio antico professore di scienze che magnificava la migliore e più profonda preparazione data delle scuole mitteleuropee — in particolare la Boemia da cui proveniva e dove nelle lezioni liceali ci si esprimeva anche in latino — rispetto a quelle italiane. E soprattutto ripensare a una più accurata, anche se fonte di sofferenze, selezione degli studenti per una più significativa preparazione a tutti i livelli.