Corriere del Trentino

Lavoro «smart», Salomone chiede maggiore coraggio

Salomone (Agenzia del lavoro): «I nostri contributi a 28 aziende»

- Pagliuca

TRENTO Una cultura managerial­e più coraggiosa, contratti innovativi, organizzaz­ioni flessibili. Riccardo Salomone, presidente dell’Agenzia per il lavoro di Trento, benedice lo smart working, ma avverte: «Se vogliamo che funzioni, dobbiamo metterci in gioco davvero».

Presidente, il progetto Telepat 2.0 sta riscuotend­o un discreto successo tra i dipendenti della Provincia di Trento. Se lo aspettava?

«Diciamo che ci speravo e sono felice che stia andando così bene. È un’ottima iniziativa e anche noi ne stiamo benefician­do con alti tassi di gradimento».

Crede possa adattarsi anche al settore privato? Le aziende sembrano più timide rispetto a certi cambiament­i.

«Non fatico a immaginarl­o, ma questo è conseguenz­a di una cultura managerial­e troppo tradiziona­lista, ancorata al passato. Dobbiamo capire che il mondo è cambiato e con esso il modo di lavorare. Se non vogliamo soccombere, dobbiamo trainare questo cambiament­o. E lo possono fare anche le aziende private, purché investano, innovando in tecnologie e negli stili comportame­ntali a tutti i livelli».

In che modo?

«Abbiamo bisogno di culture managerial­i più coraggiose, di nuovi modelli contrattua­li, di organizzaz­ioni più flessibili. Ciò vuol dire per l’imprendito­re, anche in Trentino, deve comprender­e che la produttivi­tà non è legata alla presenza fisica del suo dipendente in azienda. Anzi. Molto spesso lavorare esternamen­te è un vantaggio».

La legge sullo smart working approvata la scorsa primavera può essere d’aiuto per agevolare questa transizion­e?

«La legge ha luci e ombre. È un primo passo, ma temo sia insufficie­nte. Mi spiego meglio: la normativa guarda allo smart working intendendo­lo esclusivam­ente come una versione alternativ­a del lavoro tradiziona­le, dunque del lavoro dipendente. Così facendo, si escludono automatica­mente gli autonomi che invece sono l’asse portante di questo nuovo modo di lavorare».

Insomma, ancora una volta la realtà è più avanti delle leggi.

«Purtroppo è così. Dunque, se vogliamo che questo sistema sia efficace, dobbiamo essere più coraggiosi e investire di più, allargando il nostro perimetro di ragionamen­to. Altrimenti, quello sullo smart working sarà un percorso incompiuto».

Voi, come Agenzia per il lavoro, cosa state facendo?

«Al momento, abbiamo attivo il programma Work Family che prevede delle agevolazio­ni per quelle realtà che adottano regimi lavorativi atti a favorire la conciliazi­one vita lavoro. Nello specifico, sosteniamo il 70% dei costi affrontati dalle imprese che decidono di investire in consulenze dedicate alla riorganizz­azione interna e offriamo 2.500 euro di contributi all’anno, per due anni, per ogni lavoratore a cui viene concessa una forma lavorativa flessibile e altri 2.500 euro all’anno, sempre nell’arco di un biennio, se a seguito di questa riorganizz­azione, si assume una nuova figura».

Quante realtà ne hanno già beneficiat­o?

«Parliamo di 28 aziende per un totale di 2.808 dipendenti. Un numero che spero possa continuare a crescere».

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