Corriere del Trentino

CITTADINAN­ZA, DIGIUNARE CONTRO LE PAURE

- Di Andrea La Malfa

In questi giorni tra esponenti della società civile e del mondo politico è iniziata una staffetta di sciopero della fame per chiedere l’approvazio­ne della nuova legge sulla cittadinan­za. Anche la presidenza nazionale dell’Arci, per conto dell’associazio­ne, parteciper­à a tale iniziativa. Oggi tocca a me e al presidente di Arci Lazio, Alberto Giustini. A qualcuno sicurament­e il gesto sembrerà eccessivo, anche senza «drammatizz­arlo»: stiamo parlando di un solo giorno di digiuno. Per capire appieno la staffetta è però utile partire da una breve cronistori­a. Nel 2013 la coalizione di «Italia Bene Comune» mise come primo punto del programma la cittadinan­za per chi è nato e cresciuto in Italia. Se nasci e cresci in Italia chi sei? La risposta per noi è chiara: sei italiano ed è ora di riconoscer­lo. È passata un’altra legislatur­a. Ogni volta non era tempo per loro. Bambine e bambini presi in ostaggio dall’opportunit­à politica del momento; alcuni di loro nel frattempo sono già diventate donne e uomini. Persone che sono nate e cresciute in una comunità facendone pienamente parte nella vita quotidiana ma parzialmen­te esclusi. Quelli che oggi sono ancora bambini frequentan­o le nostre scuole. È di qualche giorno fa il caso di Castel Volturno dove una squadra di basket, la «Tam Tam», composta in gran parte da bambini nati e cresciuti in Italia ma di origine straniera, non ha potuto iscriversi al campionato proprio perché mancanti della cittadinan­za. Così è stata chiesta una deroga alla Federazion­e. Casi simili si sono avuti negli anni con le gite scolastich­e. Episodi che rendono evidente di cosa stiamo realmente parlando, squarciand­o il velo della propaganda politica contraria e dell’ipocrisia. Però gli anni passano e il vuoto normativo rimane sconcertan­te. Era stato detto che il provvedime­nto sarebbe stato discusso, alla fine non sarà così. Noi ci mobilitiam­o per ricordare le promesse,per chiedere di rispettarl­e,per non fare passare altri anni. Ma anche per dire, alle vittime di questa ingiustizi­a, che non sono soli, bensì parte della nostra comunità.

* Presidente Arci del Trentino

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