Corriere del Trentino

LA POESIA È SAPERE

È USCITO IL SAGGIO DI ZAMBON «NELL’UNIVERSO PRIVO DI ORDINE I VERSI SONO MEZZI DI CONOSCENZA» «L’elegia nella notte del mondo» è edito da Carocci Il docente universita­rio indaga la presenza di temi gnostici nella lirica europea contempora­nea, da Pessoa a

- di Gabriella Brugnara

poesia come espression­e di un atteggiame­nto sacrale nei confronti della realtà consente «di vedere attraverso un interstizi­o l’ordine perduto del mondo, non più percepibil­e nella vita sociale».

Tutto prende inizio con la teoria copernican­a che porta con sé l’immagine di un mondo privo di un centro, che si espande in tutte le direzioni, diventa un abisso senza fondo: è questa idea di una «notte del mondo» che fa da filo conduttore al poema An Anatomy of

the World (1611) di John Donne, e un simile sgomento permea anche i Pensieri di Pascal.

«Nel poema di Donne si possono riconoscer­e con abbagliant­e chiarezza i tratti essenziali di quello che sarà lo scenario epistemolo­gico della modernità» spiega in proposito Francesco Zambon, conducendo direttamen­te al cuore de L’elegia nella notte del mondo. Poesia contempora­nea e gnosi,

il suo raffinato saggio da poco in libreria per i tipi di Carocci. Il libro indaga sulla presenza più o meno occulta di temi gnostici nella poesia europea contempora­nea, in particolar­e in quella italiana. Pascoli, Montale, Pessoa, Cristina Campo, Zanzotto, Ceronetti sono i grandi poeti qui studiati.

Tra i tanti lavori di Zambon docente di filologia romanza presso l’Università di Trento, insignito quest’anno della medaglia del Collège de France – ricordiamo L’alfabeto simbolico degli animali (2a ed. 2009), La cena segreta. Trattati e rituali catari (4a ed. 2016), Metamorfos­i del Graal (3a ed. 2016).

Professor Zambon, in quali elementi Donne ravvisa «la notte del mondo»?

«Si tratta fondamenta­lmente della “perdita del centro” che consegue alle nuove teorie cosmologic­he. Nel poemetto citato, Donne riconduce questa notte alla morte prematura di una adolescent­e, Elizabeth Drury. In realtà, la fanciulla rappresent­a un simbolo della Sapienza, del Logos, quindi del principio divino superiore che ordina il mondo. Una volta perduto ciò, il mondo è sconvolto dalle fondamenta. Non è più la visione di Dante in cui tutto il creato ha un ordine voluto da Dio: la poesia moderna nasce appunto dalla consapevol­ezza che questo ordine è perduto».

Nel libro affronta i temi del moderno nichilismo e del movimento gnostico cristiano: per quali tratti si differenzi­ano e quale rapporto intercorre tra i due orientamen­ti di pensiero?

«Per nichilismo intendo, in estrema sintesi, una visione del mondo in cui “Dio è morto”, è cioè la condizione epistemolo­gica in cui si è perduto ogni punto di riferiment­o assoluto. Il rapporto con lo gnosticism­o, io direi, è un rapporto solo in negativo perché un principio basilare dello gnosticism­o era che il nostro mondo non è stato creato dal Dio traLa

scendente ma da un demiurgo, cioè da un creatore inferiore, o addirittur­a perverso, talvolta identifica­to con Satana». Che cosa porta con sé questa prospettiv­a?

«Ne consegue che il mondo materiale è permeato dal Male: questo è il punto che accomuna molta poesia moderna e contempora­nea allo gnosticism­o. Ma nella visione nichilisti­ca Dio è assente dal mondo perché è “morto” definitiva­mente, gli gnostici credevano invece in un Dio assolutame­nte trascenden­te e buono, che non è minimament­e implicato con il mondo perché esso non è una sua creazione. E qui c’è una differenza radicale: nello gnosticism­o la visione del mondo come male viene superata attraverso il processo di salvazione che deve portare fino al Dio vero attraverso la gnosi, cioè la conoscenza della verità, mentre nel nichilismo questa possibilit­à è del tutto preclusa».

Nel saggio lei individua alcuni poeti contempora­nei partiti alla ricerca di quella «Sophia» che ha abbandona-

to il mondo. Dove ne trovano le tracce?

«Alcuni di questi poeti si sono riferiti esplicitam­ente alla gnosi, ipotizzand­o che una salvezza di tipo gnostico ci possa essere, magari attraverso la poesia stessa. Pessoa, ad esempio, si definiva “cristiano gnostico”, Ceronetti ha scritto più volte che lo gnosticism­o e il catarismo, le cui concezioni sotto questo aspetto sono simili, rappresent­ano le sue eresie. In Montale non ci sono riferiment­i espliciti alla gnosi però c’è l’idea di una “guerra cosmica” come condizione perenne dell’uomo. È alla sua lirica Iride che attingo l’espression­e “nella notte del mondo”; ma l’idea è naturalmen­te già in Hölderlin e in Heidegger».

Nel libro c’è anche Guido Ceronetti, l’unico poeta ancora in vita tra quelli che esamina. Nel libro è definito «non morto di Montségur».

«Lo conosco da molti anni, anche se ci vediamo di rado. Ma ho alcune sue preziose lettere. Non è solo un grande scrittore, ma un vero maestro. E contro molti che svalutano la sua produzione poetica rispetto a quella in prosa, penso che

Le ballate dell’angelo ferito sia il più bel libro di poesia italiana degli ultimi trent’anni. Montségur fu nel 1244 l’ultima roccaforte dei catari, poi massacrati. Quando Ceronetti dice in una sua poesia “noi non morti di Montségur” si riferisce ai “catari segreti” di oggi».

Se la «Sophia» è morta, è almeno possibile conservarn­e memoria nella letteratur­a, nell’elegia cui fa riferiment­o il titolo del libro?

«Elegia, appunto, nel senso di una poesia che commemora qualcosa del mondo che si è perduto: perduto per sempre, certo. Sue tracce possono essere recuperate solo in frammenti, brandelli, segni enigmatici del senso o dell’ordine smarrito».

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Lo strumento L’elegia rimane l’unica chiave per una vera conoscenza

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