Trent’anni di Erasmus Ma l’avvio fu difficile
Il ricordo di Toniatti: «Dobbiamo tanto ad una dipendente» Roberto Toniatti, ordinario di diritto pubblico comparato all’università di Trento, racconta i 30 anni del progetto Erasmus di cui fu inizialmente responsabile a Trento.
Il progetto Erasmus compie trent’anni. Ma l’inizio fu difficile. A raccontarlo è Roberto Toniatti, ordinario di diritto pubblico comparato all’università di Trento, che all’inizio fu il responsabile del progetto. «Dobbiamo tanto ad una dipendente» racconta il docente.
Era il 1988 ed ero da poco approdato all’Università di Trento. Il rettore Fabio Ferrari era un deciso sostenitore dei rapporti accademici internazionali e, quando nel colloquio di presentazione venne a sapere che nella mia precedente esperienza all’Università di Bologna avevo fatto parte della commissione di tre professori che avevano avviato il programma Erasmus in quell’ateneo, mi chiese di occuparmene anche a Trento e mi nominò suo delegato. Così ho avuto il privilegio di essere il primo delegato Erasmus dell’Università di Trento.
Si trattava di partire da zero, anche perche’ i circuiti che avevo frequentato per conto dell’ateneo bolognese erano riservati alle più antiche università europee (Bologna festeggiava i suoi 900 anni) e sarebbe stato velleitario pretendere di inserirvi la giovane Università di Trento.
Agli inizi, occorreva assicurare l’informazione di base sul programma fra i docenti e agli studenti. Ai primi, fra l’altro, si doveva fare affidamento anche perché mettessero a disposizione i loro contatti all’estero per avviare i negoziati e la conclusione dei rapporti tra Università con i quali si dava forma alla mobilità degli studenti. Con alcuni docenti non fu facile essere persuasivi sull’equivalenza del loro corso tenuto da colleghi stranieri che non si conoscevano, in base a programmi che non fossero i propri e con riferimento a libri di testo ignoti. Alcuni docenti volevano imporre un esame integrativo al rientro degli studenti, anziché procedere alla registrazione automatica dei voti. Alcuni docenti, per di più, insistevano per attivare circuiti Erasmus limitati alla loro disciplina (una formula che allora era consentita dal regolamento comunitario) ma alla quale ero personalmente contrario perché incompatibile con una logica istituzionale del programma.
Occorre anche dire che non fu sempre agevole persuadere gli interlocutori stranieri circa la serietà e l’affidabilità accademica di una giovane università italiana. Spesso (soprattutto con università inglesi) si accettò un regime asimmetrico nei numeri, nel senso che a Trento avremmo accolto un numero di studenti superiore a quello dei nostri studenti accolti da quell’ateneo. Un altro nodo difficile fu quello di elaborare tabelle di conversione dei voti degli esami, che seguono logiche molto diverse nei singoli ordinamenti nazionali. Ad esempio, mentre a Trento si dà il trenta e lode, in altri ordinamenti il voto più alto non viene mai attribuito e non si voleva che i nostri studenti ne venissero svantaggiati.
Si deve ricordare che un grande aiuto ci venne dato dall’Opera universitaria: la sicura disponibilità di un alloggio universitario dignitoso che Trento poteva garantire a differenza di altri atenei italiani fu un grande vantaggio per la conclusione degli accordi. Nei primi anni gli studenti Erasmus venivano tutti sistemati nelle residenze alla Vela, insieme ai visiting professors e in questo modo, benché isolati, si veniva a creare un ambiente davvero cosmopolita.
Anche con gli studenti il primo impatto informativo non fu sempre facile, non si capiva bene la logica della mobilità, il vantaggio immediato e la mancata previsione di un compenso per il maggiore impegno richiesto, anche sul piano linguistico. Ora si vanta una mobilità calcolata in migliaia, nei primi anni si trattava di unità e alcune Facoltà rimasero di fatto estranee alla mobilità per alcuni anni. Anche le famiglie erano molto diffidenti e temevano che si trattasse di una perdita di tempo e di un maggior onere economico. Alcuni genitori temevano la diversità dei criteri di condotta e ricordo ancora le rimostranze di una madre che, leggendo le informazioni «utili» fornite dall’Università di Maastricht, trovò l’indirizzo di dove si potesse abortire.
Un grande contributo all’avvio trentino del Programma Erasmus fu dato dall’entusiasmo e dalla professionalità dell’unica collaboratrice amministrativa che mi venne assegnata che fra i tanti talenti aveva anche quello di conoscere e parlare correntemente tre lingue straniere. Ricordo la mia amarezza per il provincialismo culturale della sua referente gerarchica che le sequestrò materialmente i biglietti da visita che le avevo fatto stampare, per non essere da meno degli altri interlocutori amministrativi, tutti ovviamente dotati del prezioso cartoncino di carta che non è un simbolo di prestigio ma un pratico strumento di relazione di lavoro.
La celebrazione del presente è doverosa e prioritaria. Ma anche conoscere ed apprezzare le difficolta’ iniziali delle innovazioni autentiche serve a costruire una comunità.