«Zaia, il Veneto non è Trento»
Bressa stoppa il governatore: le Speciali rimangono cinque. Rossi: vittoria anche nostra
«Nella Costituzione le Speciali sono cinque. Il Veneto non c’è». Il sottosegretario Bressa «gela» Zaia, dopo le dichiarazioni post-referendum. «Una piccola vittoria anche nostra» commenta il governatore trentino Rossi, mentre il presidente Widmann tende la mano a Veneto e Lombardia.
TRENTO Gianclaudio Bressa si destreggia tra interviste e impegni. Ma mantiene calma e cortesia. Il giorno dopo i referendum consultivi in Lombardia e Veneto per ottenere maggiore autonomia (con la scontata vittoria dei «sì»), il sottosegretario per gli Affari regionali definisce subito «positivo» il segnale lanciato dagli elettori attraverso un’affluenza importante soprattutto in Veneto. Ma di fronte alle prime dichiarazioni dei due governatori Roberto Maroni e Luca Zaia, Bressa fa notare con decisione le visioni differenti: «Ho già sentito Roberto Maroni, lo incontrerò a breve: mi pare disposto ad avviare una trattativa nel merito per un regionalismo differenziato, come prevede l’articolo 116 della Carta. Zaia? La sua è strategia elettorale. Le sue prime intenzioni sono una dichiarazione implicita di secessione. Regione speciale? Non è possibile». Detto in altri termini: il Veneto non è il Trentino.
Sottosegretario Bressa, partiamo dal dato oggettivo: i due referendum consultivi hanno sancito la volontà di autonomia delle due regioni.
«In realtà, la vittoria del “sì” era scontata. Non avrebbe avuto gran senso andare a votare “no” al referendum. Che è legittimo, ma — ed è bene ricordarlo — non ha alcun effetto giuridicamente rilevante, come ha già messo in chiaro la Corte costituzionale quando si è pronunciata sui quesiti».
Si è parlato di referendum «superfluo»: la trattativa con Roma, infatti, poteva essere avviata anche prima. Come ha deciso di fare, ad esempio, l’Emilia Romagna.
«Esatto. I tavoli delle trattative si potevano far partire in qualsiasi momento dalla riforma del 2001 all’articolo 116 della Costituzione. In questo senso, proprio domani (oggi, ndr) incontrerò il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini».
Ha già sentito Maroni e Zaia? Avete fissato i primi incontri?
«Ho sentito Maroni e a breve lo incontrerò: si è già mostrato disposto ad avviare una trattativa sul merito per il reto gionalismo differenziato. Non ho sentito Zaia».
Il governatore veneto ha già detto di «volere i nove decimi delle tasse». Cosa risponde?
«Bisogna distinguere tra chi immagina un processo che va nella direzione del regionalismo differenziato e chi invece fa pura propaganda politica. Zaia fa propaganda perché la richiesta sull’autonomia fiscale era già stata bocciata dalla Corte costituzionale (si tratta del quesito «Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?», respinto dalla Consulta, ndr). Il suo è un bluff, perché non può non saperlo: può incantare chi è disattento, ma non chi conosce la situazione».
Quanto c’è di strategia elettorale in queste dichiarazioni di Zaia?
«È tutta strategia elettorale. Lui, in questo, è bravissimo».
L’affluenza indica però che la questione dell’autonomia è un fattore importante nel Paese.
«L’alta affluenza che si è registrata in questa tornata elettorale rappresenta in ogni caso un segnale molto positivo, su questo non c’è dubbio. Vuol dire che il tema dell’autonomia è sentito. Va però ricorda- anche un altro aspetto».
Prego.
«Tutto questo percorso nasce da un emendamento che ho presentato nel 2001. A quel tempo ero un deputato veneto. Di Belluno, per la precisione. E mi confrontavo giornalmente con tutte le autonomie speciali. Da questo dialogo era nata la visione di un regionalismo differenziato, sfociata poi nel terzo comma dell’articolo 116 della Carta, che prevede la possibilità per le regioni di ottenere una particolare autonomia su alcune materie specifiche. In questo contesto, ripeto, le prime mosse di Maroni si inseriscono in pieno nello spirito del testo costituzionale. Mentre quelle di Zaia rappresentano un principio di secessione, sono una dichiarazione implicita di secessione. Un conto è avere un Veneto forte inserito in una Europa forte. Un altro conto è avere un Veneto solo».
La giunta veneta proprio ieri ha approvato un disegno di legge che chiede il riconoscimento di Regione a statuto speciale.
«Non può farlo. Le Regioni a statuto speciale sono cinque, definite dalla Costituzione. Il Veneto non c’è».
Differenze Bisogna distinguere tra chi dialoga e chi fa propaganda L’agenda L’Emilia Romagna ha avviato il lavoro con il governo da tempo