Corriere del Trentino

Mondini racconta il capo Cadorna senza fare sconti

La storia del generale nel nuovo libro di Mondini Ne «Il capo» emerge un uomo non all’altezza del ruolo

- Boschi

«Il capo - La grande guerra del generale Cadorna» di Marco Mondini non è solo una biografia. È più interessan­te e attuale. Indaga sulla figura del generale e trae spunti utili per osservare l’Italia di oggi.

Il capo - La grande guerra del generale Cadorna di Marco Mondini non è solo una biografia. È qualcosa di più: di più interessan­te e di più attuale. Nel libro edito in questi giorni da «Il Mulino», Mondini, docente di storia militare dell’Università di Padova, ricercator­e dell’Isig-Fbk nonché firma di questo giornale, non si limita, infatti, ad approfondi­re la figura del generale Cadorna, ma lo colloca all’interno del contesto dell’epoca riuscendo anche a estrapolar­ne «insegnamen­ti» utili all’osservazio­ne dell’Italia di oggi, o almeno degli anni recenti.

Perché Luigi Cadorna non è stato un «semplice» generale, per alcuni è ancora oggi il simbolo del militarism­o più ottuso mentre per molti altri è sempliceme­nte il responsabi­le della sconfitta militare più cocente della storia italiana: Caporetto.

Da questo punto di vista, Mondini precisa, sin dall’introduzio­ne, la «cornice» della sua ricerca: «Cultura, tradizioni, educazioni, ambizioni, idiosincra­sie, fantasmi e ossessioni. La parabola del più importante generale della sua generazion­e è uno specchio della storia italiana, non solo della Grande Guerra. Rileggerla, evitando di cadere nelle trappole ideologich­e della riabilitaz­ioni e delle demonizzaz­ioni, vuol dire tornare a confrontar­si anche con alcune questioni irrisolte del nostro passato (e forse anche del nostro presente): l’ansia di riformare gli italiani, il disprezzo di chi comanda verso chi è comandato, l’anacronism­o di vecchie classi dirigenti incapaci di comprender­e una sconvolgen­te modernità e l’eterna insopprimi­bile, multiforme tentazione del potere».

Questo significa, innanzitut­to valutare le fonti storiche con obiettivit­à, tenendosi lontano da distinzion­i manichee o da facili, quanto ormai inutili, polemiche.

L’approccio scelto non spinge Mondini a sottacere gli enormi errori (non solo militari) di Cadorna, anzi, non «fa sconti» al «generaliss­imo», lo descrive come un «capo» che, non solo non ascolta nessuno, ma addirittur­a sostituisc­e chi ha il coraggio di esprimere il dissenso nei suoi confronti. Dalla lettura de «Il Capo» emerge, quindi, la figura di un Cadorna non all’altezza del ruolo, anche (e non solo) perché scarica sui sottoposti le responsabi­lità di ogni sconfitta o errore. Ma questo non significa addossare a Cadorna ogni colpa e ogni responsabi­lità riguardant­i la sconfitta di Caporetto.

Oggi, a cent’anni precisi da quella disfatta (la battaglia iniziò il 24 ottobre 1917) Mondini, ribadisce a voce quanto già evidenziat­o nel suo libro: «Cadorna era il comandante supremo e non si possono, quindi, negare le sue responsabi­lità, ma, per esempio, vorrei si ricordasse che lo si sarebbe dovuto sostituire già l’anno precedente a seguito dell’offensiva degli Altipiani. Altri suoi colleghi erano stati destituiti per molto meno. Perché non è stato fatto?».

Proprio da qui nasce la questione relativa alla «leadership» già citata in precedenza, perché nonostante gli errori, a Cadorna venne lasciato un potere pressoché assoluto. I suoi errori e la sua ottusa distanza dalla realtà dei fatti non vennero mai messi in discussion­e. Fino a Caporetto.

Oggi, a causa del centenario, quella battaglia è tornata ad occupare le pagine dei giornali, Mondini avrebbe diversi motivi per esserne contento, ma non è così: «Purtroppo, mi sembra che troppi articoli siano caduti proprio nelle trappole ideologich­e di cui parlavo nell’introduzio­ne, per di più aggravate dalla superficia­lità. Ovviamente, non tutti gli articoli sull’argomento sono di questo tenore, ma almeno un paio si basano sull’interpreta­zione memorialis­tica di Cadorna e di Caporetto, invece che sui dati di fatto. Credo, invece, che a cent’anni di distanza sia giunto il momento di passare a consideraz­ioni attente e scientific­he al posto di prese di posizione emotive. Non è più questione di demonizzar­e o assolvere Cadorna, occorre contestual­izzare gli avveniment­i».

Ma su Caporetto non si sono cimentati solo storici o giornalist­i, anche il generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa, ha espresso la sua opinione in un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera: «A Caporetto accadde una cosa mai accaduta, né prima né dopo: il Paese intero scese in guerra. E, brutto a dirsi, cominciamm­o a odiare il nemico. Capimmo che era in gioco la sopravvive­nza dell’Italia. Fu la nascita, o la rinascita, della nazione».

Una affermazio­ne che ha destato più di una perplessit­à ma che, secondo Mondini, necessita di una interpreta­zione: «Complessiv­amente, l’intervista di Graziano mi è parsa equilibrat­a, soprattutt­o rispetto al giudizio espresso su Cadorna. Per quel che riguarda la nascita o rinascita della nazione, dobbiamo fare i conti con un paio di vulgate: quella che vede Caporetto come una tragedia necessaria e l’altra che si rifà al mito degli italiani che reagiscono solo in caso di emergenza. Come ho già detto, trovo bizzarro che a distanza di un secolo il mito e la retorica siano ancora più importanti dei fatti. Credo, per esempio, che sarebbe più corretto spiegare come la sconfitta di Caporetto abbia comportato un mutamento radicale nella percezione collettiva della natura del conflitto. Solo da quel momento, infatti, fu possibile affermare che era una guerra difensiva, prima era francament­e impossibil­e. Così Caporetto si trasformò in un’utile arma di propaganda, la minaccia dell’invasione rese più facile la propaganda bellica perché incominciò a basarsi su qualcosa di più tangibile: la difesa del territorio italiano. Una propaganda che non funzionò solo con i soldati del Triveneto. Caporetto portò a compimento e maturazion­e il processo di costruzion­e di un mito culturale: la difesa della Patria».

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