«La mia scuola al tempo delle bufale»
Liceo Prati, lezione dello scrittore Massimo Birattari: Calvino e Levi, i modelli
«Chi decide di mettersi a scrivere di solito lo fa perché ha “qualcosa da dire” . L’affermazione sembra banale e invece merita di essere presa sul serio», osserva Massimo Birattari autore di diversi libri redattore, traduttore e consulente editoriale con lo scopo di voler avvicinare, anche in maniera giocosa, soprattutto i ragazzi ma non solo, alla lettura e alla scrittura. Sarà ospite del Sir il 6 e 7 novembre.
Invece di fare i compiti e Come si fa il tema, entrambi del 2017. Oppure, risalendo al 2010, la grammatica pratica Italiano. Corso di sopravvivenza e il «manuale di stile» È più facile scrivere bene
che scrivere male (2011). Titoli che riflettono la prospettiva attraverso cui Massimo Birattari — redattore, traduttore e consulente editoriale — intende avvicinare, anche in maniera giocosa, soprattutto i ragazzi ma non solo, alla lettura e alla scrittura. Alla base, la convinzione che lettura e scrittura rappresentino gli inscindibili strumenti che permettono di maturare una propria visione della realtà, dando al contempo sostanza all’immaginazione. «Chi decide di mettersi a scrivere di solito lo fa perché ha “qualcosa da dire” — osserva Birattari —. L’affermazione sembra banale e invece merita di essere presa sul serio, anche in considerazione del fatto che prima di noi l’ha pronunciata lo scrittore americano Francis Scott Fitzgerald (18961940), il quale sosteneva che “non si scrive perché si vuol dire qualcosa; si scrive perché si ha qualcosa da dire”».
Per raccontare tutto questo, Birattari interverrà nell’ambito del X Seminario internazionale sul romanzo dell’Università di Trento, diretto da Massimo Rizzante, che da diversi anni attraverso la sezione «Sir scuola» (responsabile Walter Nardon) collabora con alcuni istituti scolastici tra Trento, Rovereto, Bolzano. Gli appuntamenti sono lunedì 6 e martedì 7 novembre alle 15.30 presso il liceo classico «Giovanni Prati» di Trento, per affrontare rispettivamente il tema «una questione di stile» e «leggere e scrivere: manuali di sopravvivenza». In dialogo con l’autore ci sarà Michele Ruele.
Birattari, come svilupperà gli aspetti al centro dei due incontri al liceo Prati?
«Affronterò il problema di come convincere i ragazzi a leggere, e di come fare in modo che la lettura si trasformi poi in mezzo per scrivere. L’idea è di partire dalle mie esperienze da ragazzo e anche da adulto per raccontare come sono arrivato ad amare la lettura, in che modo gli insegnanti mi hanno convinto con il loro comporta- e i loro suggerimenti a leggere, e come certi libri si siano impadroniti di me, mi abbiano costretto ad arrivare fino all’ultima pagina perché era praticamente impossibile staccarsi dalla storia».
Al centro porrà dunque la forma romanzo?
«Mi soffermerò sull’importanza di diffondere la lettura dei romanzi come strumento parte della vita quotidiana e della formazione del singolo. Non parlerò però solo di romanzi ma di tensione, di spinta narrativa che possiedono anche altri generi, in particolare mi riferisco ad alcuni libri che si presentano come saggi, ma riescono a catturare come romanzi. Esaminerò poi il soggetto di alcuni dei miei romanzi, e persino di quelli che avrei voluto scrivere, dando spazio alle esperienze che nutrono le mie narrazioni».
Un aspetto che spesso oggi si nota è la difficoltà dei ragazzi di adattare la scrittura ai diversi contesti.
«Nei miei libri propongo spesso degli esempi in tal senso, puntando su come si risolvono praticamente i problemi di scrittura, e su come creare un collegamento tra le idee. Certo, soprattutto oggi, adattare la scrittura ai contesti rappresenta un tema cruciale. Per poterlo fare bisogna leggere “le cose giuste”, conoscere delle forme che possano servire da modello. Tra le mie proposte, in tal senso, c’è la scrittura limpida di Italo Calvino e di Primo Levi. È necessario comprendere che quando si scrive in un contesto diverso dai media, quel tipo di espressione risulta inefficace, spesso incomprensibile».
È ancora importante parlare di metodi scolastici in un momento in cui i ragazzi sembrano privilegiare gli ebook e le ricerche online?
«Mi sono laureato in storia, e uno degli aspetti centrali della ricerca storica riguarda l’attendibilità delle fonti. Non basta dunque trovare le informazioni, è necessario attuare una critica delle fonti simile alla valutazione dei dati in un esperimento scientifico. Questo metodo è ancora più indispensabile oggi, nel tempo “delle bufale”, in cui è sempre più difficile distinguere una notizia satirica da un fatto vero. La scuola riveste un compito fondamentale in questo processo, suo compito è insegnare a distinguere tra le informazioni, e non si tratta di una questione di forma perché non tutto quanto c’è sui libri è vero e tutto quanto c’è sul web falso. È necessario sviluppare dei metodi per non farsi ingannare».
La bellezza del romanzo, è questo il tema al centro della presente edizione del Sir. Quando, secondo lei, un romanzo è «bello»?
«Dal mio punto di vista, la bellezza del romanzo ha a che vedere con la potenza della trama. Come una specie di necessità interna, simile a quella che si avverte in un concerto di Bach, essa conduce alla fine della narrazione, soddisfacendo le aspettative del lettore. Ma bellezza è anche capacità di dire cose che non sono mai state dette prima. Il romanzo ha una sua bellezza che lo distingue dalle altre arti, ed essa riguarda anche la capacità di rivelazione che alcuni autori ci offrono».