Referendum, chance di specializzazione
L’esito dei referendum in Veneto e Lombardia può avere effetti di diverso genere a seconda dello sbocco politico che le varie parti in causa avranno la capacità di offrire alla forte domanda di autonomia che esso esprime.
Un primo punto da cui partire per evitare deragliamenti è l’ancoraggio — doveroso e comunque ineludibile — alla Costituzione vigente. Essa definisce con chiarezza due diversi modelli di regionalismo: quello ordinario e quello speciale, dentro il quale peraltro sono garantite le ulteriori diversità previste dai singoli Statuti speciali, non per nulla approvati con legge costituzionale.
I referendum di domenica scorsa si collocano con tutta evidenza nel solco del primo modello. Un modello che potenzialmente non è affatto statico, ma dinamico: così prevede — fin dal 2001 — l’articolo 116 della Costituzione, che garantisce la possibilità, per le Regioni ordinarie, di ottenere forme speciali di autonomia in determinate materie, attraverso una intesa con il governo ratificata da una legge statale ordinaria. La stessa modifica costituzionale bocciata nel referendum del 4 dicembre scorso aveva conservato questa possibilità, pur nel quadro di una nuova articolazione delle competenze tra Stato e Regioni.
È dunque da qui che occorre partire per dare l’unica risposta costituzionalmente oggi possibile alla richiesta espressa da veneti e lombardi, così come da altre Regioni che volessero mettersi su questo percorso, con o senza referendum preventivi.
Partire invece dalla rivendicazione a priori dei «nove decimi» del gettito fiscale statale riscosso nel territorio non ha fondamento alcuno in tale contesto. Oltretutto — detto per inciso — tale previsione, inserita negli Statuti di alcune Regioni speciali, risulta da tempo ormai non più di fatto praticata, a seguito dei nuovi accordi finanziari intervenuti dal 2009 in poi tra queste Regioni e lo Stato.
È chiaro che il processo di specializzazione delle Regioni ordinarie nelle materie oggetto di una eventuale intesa prevista dall’articolo 116 della Costituzione comporta anche la disponibilità delle relative risorse finanziarie: ma ciò dovrà essere definito nell’ambito della stessa intesa, ratificata con legge statale ordinaria e dovrà tradursi nella devoluzione alla Regione di quote di gettito erariale rapportate al costo delle competenze trasferite o delle funzioni delegate, con corrispondente riduzione dei relativi capitoli di spesa nel bilancio dello Stato.
Si tratta peraltro di un percorso non banale, poiché — appunto — non si esaurisce in un semplice accordo finanziario (esso ne è semmai la conseguenza) ma passa attraverso una radicale riorganizzazione nell’assetto di importanti settori di intervento oggi gestiti direttamente dallo Stato. Se impostato correttamente e ispirato a criteri di responsabilità, sarebbe in ogni caso un percorso certo difficile e complesso, ma potenzialmente virtuoso.