Centro storico: un disagio diffuso «Idee e coraggio, così può rinascere»
Zappini: «C’è bisogno di linguaggi condivisi». Ferrari: «Ragionare di nuovo sulla pianificazione» Lupo: un confronto fra cittadini e amministratori. L’editoriale di Ugo Morelli apre la discussione
Il centro storico è una ferita aperta nel cuore di Trento? L’editoriale di Ugo Morelli sul «volgare diffuso» che dilaga in città apre il dibattito su una questione sempre attuale. Che fare? C’è chi propone un confronto fra cittadini e amministratori, chi richiama la necessità dell’attenzione urbanistica e chi guarda alla ricostruzione delle reti di fiducia. Nel frattempo il super comitato dei residenti di Santa Maria, San Martino e piazza Garzetti va avanti.
TRENTO Cosa sta succedendo al centro storico di Trento? Il dibattito sulla vivibilità di alcune zone del capoluogo non è certo inedito. È un racconto che assume quasi i tratti della sedimentazione. «Non è affatto piacevole parlarne» sottolineava Ugo Morelli sul Corriere del Trentino di ieri, riflettendo su come il brutto, che in maniera analoga al bello, «richiede di essere capito e giustificato», stia assumendo «le caratteristiche del volgare diffuso» rendendo la questione «difficile e al limite del vivibile»: quella, nello specifico, del centro storico di Trento.
L’analisi di Morelli, volutamente lontana dall’alimentare paure e allarmismi, è una riflessione condivisa a più livelli. «Ci sono, effettivamente, delle zone della città che sono diventate impraticabili — osserva l’architetto Michelangelo Lupo, curatore e allestitore di mostre e musei — non si riesce più a capire dove transitare senza disagio. Tutti, inoltre, diventano sospettabili se attraversano certi punti del capoluogo: si verificano situazioni al limite della sopportabilità». «L’amministrazione ha fatto molto — aggiunge — prova ne sono, ad esempio, la biblioteca dei ragazzi e il bar in piazza Dante che hanno ridato valore alla palazzina Liberty». Poi, però, che fare? «Una ricetta non ce l’ho — ammette l’architetto — ma credo bisognerebbe aprire un dibattito fra cittadini e amministratori».
Pensa a dei «tavoli di lavoro», attorno ai quali «studiare e ragionare in maniera seria e continuativa i fenomeni», anche un altro architetto di Trento, Roberto Ferrari: «Credo sarebbe utile ricominciare a ragionare sul centro storico da un punto di vista pianificatorio, ma in senso lato — spiega — unendo le forze di sociologi, urbanisti, di persone in grado di leggere e interpretare i dati delle forze dell’ordine ad esempio». L’accusa che Ferrari si sente di muovere principalmente all’amministrazione riguarda «l’abbandono» del centro storico da parte dell’urbanistica: «Non c’è un gruppo di lavoro che si occupi di come è cambiato nel tempo — denuncia — dal punto di vista della pianificazione sono trent’anni che di centro storico non si parla più». In altre parole, la società si evolve e con essa anche l’uso e gli spazi della città: «Un’amministrazione capace dovrebbe capirlo e condizionarli — afferma — la percezione di sicurezza cambia se lo spazio viene usato in maniera differente». Insomma, secondo Ferrari occorrono tempo e idee: «Bisognerebbe investire dei mesi su qualcosa che crei una continuità — chiarisce — che i giovani soprattutto comincino a vivere come un’abitudine: se ci si limita al casuale e all’episodico non si genera un uso».
Per Federico Zappini, attivo nell’osservazione sociale e nella promozione di processi partecipativi per lo sviluppo di comunità, «il centro storico è un luogo che ha perso le sue caratteristiche di unicità»: «Si è svuotato degli attori che viaggiano “sopra il pelo” della città».
Se la stagione di riqualificazione urbana vissuta da Trento dagli anni di amministrazione di Lorenzo Dellai in poi ha costituito il «grado zero» del contesto cittadino, ovvero «la parte di infrastruttura materiale sulla quale dovrebbe innestarsi l’infrastruttura sociale e culturale», è proprio quest’ultima, a Trento, a «faticare moltissimo». E i segnali sono più d’uno. A cominciare da «una forte resistenza a tutto quanto oltrepassi anche minimamente i confini dell’accettabile», si pensi ad esempio alle polemiche che costantemente si ripropongono sulla presenza degli studenti o sulla musica. C’è poi «l’incapacità di creare percorsi inclusivi»: «Sempre più persone vivono ai margini e mettono in campo pratiche di marginalizzazione — osserva Zappini — dal gettare a terra le cartacce al non capire quale sia il linguaggio adeguato allo spazio pubblico». A mancare, poi, è anche «un’amministrazione coraggiosa» perché oggi «limitarsi all’infrastruttura materiale o alle azioni repressive non è più possibile». Secondo Zappini, inoltre, nel centro storico a farsi sentire è pure «l’assenza di attori in grado di mescolare la dimensione commerciale con quella sociale e culturale». «Servono persone in grado di ricostruire reti di fiducia all’interno della cittadinanza e di tradurre le paure in soluzioni condivise — conclude — si tratta di produrre politica, attività sociali e culturali di prossimità, che abbiano continuità e siano capaci di costruire linguaggi e codici condivisi. Immaginare come dovrà essere la città è una grande sfida, ma la dobbiamo assumere tutti».
Il blogger Pensare a come dovrà essere la città è una sfida da cogliere
L’architetto Creare dei tavoli di lavoro per studiare seriamente i fenomeni
Il curatore È stato fatto molto, ma ci sono zone della città inagibili