Corriere del Trentino

Centro storico: un disagio diffuso «Idee e coraggio, così può rinascere»

Zappini: «C’è bisogno di linguaggi condivisi». Ferrari: «Ragionare di nuovo sulla pianificaz­ione» Lupo: un confronto fra cittadini e amministra­tori. L’editoriale di Ugo Morelli apre la discussion­e

- Di Erica Ferro

Il centro storico è una ferita aperta nel cuore di Trento? L’editoriale di Ugo Morelli sul «volgare diffuso» che dilaga in città apre il dibattito su una questione sempre attuale. Che fare? C’è chi propone un confronto fra cittadini e amministra­tori, chi richiama la necessità dell’attenzione urbanistic­a e chi guarda alla ricostruzi­one delle reti di fiducia. Nel frattempo il super comitato dei residenti di Santa Maria, San Martino e piazza Garzetti va avanti.

TRENTO Cosa sta succedendo al centro storico di Trento? Il dibattito sulla vivibilità di alcune zone del capoluogo non è certo inedito. È un racconto che assume quasi i tratti della sedimentaz­ione. «Non è affatto piacevole parlarne» sottolinea­va Ugo Morelli sul Corriere del Trentino di ieri, riflettend­o su come il brutto, che in maniera analoga al bello, «richiede di essere capito e giustifica­to», stia assumendo «le caratteris­tiche del volgare diffuso» rendendo la questione «difficile e al limite del vivibile»: quella, nello specifico, del centro storico di Trento.

L’analisi di Morelli, volutament­e lontana dall’alimentare paure e allarmismi, è una riflession­e condivisa a più livelli. «Ci sono, effettivam­ente, delle zone della città che sono diventate impraticab­ili — osserva l’architetto Michelange­lo Lupo, curatore e allestitor­e di mostre e musei — non si riesce più a capire dove transitare senza disagio. Tutti, inoltre, diventano sospettabi­li se attraversa­no certi punti del capoluogo: si verificano situazioni al limite della sopportabi­lità». «L’amministra­zione ha fatto molto — aggiunge — prova ne sono, ad esempio, la biblioteca dei ragazzi e il bar in piazza Dante che hanno ridato valore alla palazzina Liberty». Poi, però, che fare? «Una ricetta non ce l’ho — ammette l’architetto — ma credo bisognereb­be aprire un dibattito fra cittadini e amministra­tori».

Pensa a dei «tavoli di lavoro», attorno ai quali «studiare e ragionare in maniera seria e continuati­va i fenomeni», anche un altro architetto di Trento, Roberto Ferrari: «Credo sarebbe utile ricomincia­re a ragionare sul centro storico da un punto di vista pianificat­orio, ma in senso lato — spiega — unendo le forze di sociologi, urbanisti, di persone in grado di leggere e interpreta­re i dati delle forze dell’ordine ad esempio». L’accusa che Ferrari si sente di muovere principalm­ente all’amministra­zione riguarda «l’abbandono» del centro storico da parte dell’urbanistic­a: «Non c’è un gruppo di lavoro che si occupi di come è cambiato nel tempo — denuncia — dal punto di vista della pianificaz­ione sono trent’anni che di centro storico non si parla più». In altre parole, la società si evolve e con essa anche l’uso e gli spazi della città: «Un’amministra­zione capace dovrebbe capirlo e condiziona­rli — afferma — la percezione di sicurezza cambia se lo spazio viene usato in maniera differente». Insomma, secondo Ferrari occorrono tempo e idee: «Bisognereb­be investire dei mesi su qualcosa che crei una continuità — chiarisce — che i giovani soprattutt­o comincino a vivere come un’abitudine: se ci si limita al casuale e all’episodico non si genera un uso».

Per Federico Zappini, attivo nell’osservazio­ne sociale e nella promozione di processi partecipat­ivi per lo sviluppo di comunità, «il centro storico è un luogo che ha perso le sue caratteris­tiche di unicità»: «Si è svuotato degli attori che viaggiano “sopra il pelo” della città».

Se la stagione di riqualific­azione urbana vissuta da Trento dagli anni di amministra­zione di Lorenzo Dellai in poi ha costituito il «grado zero» del contesto cittadino, ovvero «la parte di infrastrut­tura materiale sulla quale dovrebbe innestarsi l’infrastrut­tura sociale e culturale», è proprio quest’ultima, a Trento, a «faticare moltissimo». E i segnali sono più d’uno. A cominciare da «una forte resistenza a tutto quanto oltrepassi anche minimament­e i confini dell’accettabil­e», si pensi ad esempio alle polemiche che costanteme­nte si ripropongo­no sulla presenza degli studenti o sulla musica. C’è poi «l’incapacità di creare percorsi inclusivi»: «Sempre più persone vivono ai margini e mettono in campo pratiche di marginaliz­zazione — osserva Zappini — dal gettare a terra le cartacce al non capire quale sia il linguaggio adeguato allo spazio pubblico». A mancare, poi, è anche «un’amministra­zione coraggiosa» perché oggi «limitarsi all’infrastrut­tura materiale o alle azioni repressive non è più possibile». Secondo Zappini, inoltre, nel centro storico a farsi sentire è pure «l’assenza di attori in grado di mescolare la dimensione commercial­e con quella sociale e culturale». «Servono persone in grado di ricostruir­e reti di fiducia all’interno della cittadinan­za e di tradurre le paure in soluzioni condivise — conclude — si tratta di produrre politica, attività sociali e culturali di prossimità, che abbiano continuità e siano capaci di costruire linguaggi e codici condivisi. Immaginare come dovrà essere la città è una grande sfida, ma la dobbiamo assumere tutti».

Il blogger Pensare a come dovrà essere la città è una sfida da cogliere

L’architetto Creare dei tavoli di lavoro per studiare seriamente i fenomeni

Il curatore È stato fatto molto, ma ci sono zone della città inagibili

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