Corriere del Trentino

Pensione alle casalinghe, sindacati critici

Ebner: ci hanno escluso. Buonerba: poche contribuen­ti. Serafini: creare condizioni migliori L’allarme di Pomini: bomba a orologeria per i conti della Regione, dobbiamo evitare il peggio

- Chiara Currò Dossi

BOLZANO Al fondo pensione per le casalinghe, istituito nel 1993 dalla giunta regionale, i sindacati locali guardano, da sempre, con sospetto. «È bene pensare a una forma contributi­va per le casalinghe — sostengono le parti sociali — ma questo non deve essere un incentivo a non lavorare. Comunque sia, adesso, gli impegni vanno rispettati».

Non ha destato quindi particolar­e sorpresa la notizia che l’Agenzia per lo sviluppo sociale ed economico (Asse) ha avviato un’indagine di mercato per valutare al sostenibil­ità del fondo nei prossimi 30 anni. «Forse i calcoli non sono stati fatti bene in partenza — commenta Alfred Ebner (Cgil) — forse bisognava intervenir­e prima. Quel che è certo è che la politica avrebbe dovuto coinvolger­e la parti sociali». Certo, sostiene Ebner, il diritto alla contribuzi­one da parte delle iscritte al fondo c’è e va rispettato. « Le promesse vanno mantenute — aggiunge — evitando di far colare a picco il bilancio della Regione».

Incertezze sul meccanismo sono sollevate anche da Michele Buonerba (Cisl). «Il problema di questa tipologia di fondi è che stanno in piedi solo se c’è un numero sufficient­e di contribuen­ti — spiega — Nel caso specifico il numero è diminuito in maniera inversamen­te proporzion­ale al tasso di occupazion­e femminile, che, in Alto Adige, supera il 60%». Un cambiament­o preventiva­bile già al tempo dell’istituzion­e del fondo, secondo il segretario, «tanto che la Cisl si era dichiarata scettica fin dall’inizio. Non mi stupiscono le grosse difficoltà che si hanno adesso che è arrivato il momento di pagare. L’idea non stava in piedi allora, figuriamoc­i adesso».

A chiamarlo fondo pensione Toni Serafini (Uil) non ci sta. «Le pensioni vanno pagate a chi lavora, per gli altri si tratinsuff­iciente». ta di assistenza. Ma forse sarebbe meglio cercare strumenti diversi?». Non è una novità, prosegue Serafini, che le donne siano discrimina­te dal punto di vista contributi­vo. «E 1.500 euro all’anno versati per 15 anni non sono che briciole. La strada maestra è la creazione condizioni di lavoro per le donne, che permettano di regolare i ritmi vita-lavoro. Certo, rispetto a qualche decennio fa le cose sono migliorate molto, fra le coppie più giovani i compiti, in casa, sono suddivisi in maniera più equa, ma non basta». Per il segretario Uil, insomma, bisogna puntare a «pensioni vere. Bisogna sfruttare telelavoro e contratti part-time da 28-30 ore che garantisca­no un salario dignitoso».

Sulla stessa linea i segretari trentini. Per Walter Alotti (Uil) i problemi sono molteplici, «a partire dal fatto che si sta parlando di una forma contributi­va per persone che comunque non sarebbero andate a lavorare. Inoltre il sistema di calcolo non è adeguato: il fondo avrebbe dovuto stare in piedi da solo, mentre oggi è evidente che senza l’aiuto della Provincia sarebbe impensabil­e, a fronte di un numero di iscritti La proposta del segretario della Uil trentina è, quindi, la liquidazio­ne, «senza che ci rimetta chi ha aderito al fondo, dal momento che lo ha pure sempre fatto rispettand­o i parametri. Bisognereb­be porre una soglia, ad esempio di una decina d’anni, oltre la quale smettere di erogare i contributi».

Anche per il collega della Cgil, Franco Ianeselli, non ci sono dubbi sul fatto che «gli impegni presi vadano mantenuti. Si tratta comunque di un caso che, retrospett­ivamente, fa riflettere: a volte vengono messe in campo politiche molto discutibil­i. Quando si adottano certe misure bisogna farlo realizzand­o tutte le proiezioni del caso, in modo da garantire che la sostenibil­ità ci sia». Assolutame­nte da bocciare, prosegue, le misure che incentivan­o chi non è sul mercato del lavoro a restarne fuori. «Bisognereb­be invece, incentivar­e a entrare e a restarci. Il che è ancora più significat­ivo nei casi di persone che lavorano pur avendo famigliari da curare».

Nelle parole di Lorenzo Pomini (Cisl) il fondo per le casalinghe «è una bomba a orologeria per i conti della regione. Nel 1993 è stato inventato un fondo, di fatto, senza copertura e poi si è cercato di rivedere le regole. Aver chiuso tutto nel 2005 è stata una decisione responsabi­le». Ma il fatto che ci sia un buco non sanabile è evidente. «Ora bisogna cercare di evitare il peggio, tenendo su un piatto della bilancia le aspettativ­e delle contribuen­ti e, sull’altro, la responsabi­lità nei confronti della comunità». Il fondo, spiega Pomini, è stato pensato soprattutt­o per le famiglie di contadini. «Ma è opportuno ricordare che la legislazio­ne nazionale già li aiuta molto , sia dal punto di vista fiscale che da quello contributi­vo. Senza dimenticar­e le sovvenzion­i provincial­i». Certo, il discorso da fare sarebbe molto più ampio e riguardere­bbe «l’intero sistema pensionist­ico italiano. Nel ricalcolo delle pensioni rispetto ai contributi effettivam­ente versati non ci sarebbe nulla di male».

Ianeselli Gli impegni presi vanno mantenuti e ora si dovrebbero incentivar­e le donne a restare nel mondo del lavoro

 ??  ?? Impegno Una casalinga alle prese con i lavori domestici In Alto Adige nel 1993 era stato istituito per le casalinghe un fondo pensione, la cui sostenibil­ità è ora in dubbio
Impegno Una casalinga alle prese con i lavori domestici In Alto Adige nel 1993 era stato istituito per le casalinghe un fondo pensione, la cui sostenibil­ità è ora in dubbio

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