Sanbapolis aspetta il ciclone Coez «Una dura gavetta»
Il tour tutto esaurito già in prevendita Tappa a Sanbapolis «Le vecchie canzoni insieme alle ultime»
«Questo successo me lo sono meritato più di tanti altri in Italia». Parola di Coez, che giovedì arriva al Teatro Sanbapolis di Trento (alle 21) sull’onda di numeri davvero impressionanti. Tutto esaurito in prevendita l’intero tour nei palazzetti di Faccio un casino (2017), dal titolo dell’ultimo album uscito a maggio, comprese le due date romane al Palalottomatica previste a febbraio. In tempi di crisi più o meno conclamata Silvano Albanese, in arte Coez, fa eccezione inanellando una hit dietro l’altra con tutti i singoli dell’album. Da Faccio un casino a La musica non c’è passando per Taciturnal, Occhiali scuri e E yo mamma le sue canzoni sono state ripetutamente scaricate, visualizzate e mandate a memoria da un pubblico sempre più vasto che si è poi riversato ai suoi concerti. Nato a Nocera Inferiore nel 1983 ma cresciuto e vissuto a Roma, Coez non è un fenomeno estemporaneo ma la gavetta l’ha fatta eccome, prima nel sottobosco rap coi Brokenspeakers e dal 2009 in veste solista. Dischi come Non erano fiori (2013), prodotto da Riccardo Sinigallia, e Niente che non va (2015), pubblicati per la Carosello, lo avevano già segnalato come autore di un certo calibro, capace di miscelare il rap al cantautorato. Ne abbiamo parlato con lo stesso artista romano, raggiunto telefonicamente a Torino alla vigilia della seconda data di un tour che si annuncia da record.
Che sapore hanno i numeri di questo successo e l’enorme riscontro del pubblico nei confronti di Faccio un casino?
«Il sapore è più bello quando una cosa in cui credi te la guadagni: la mia gavetta è stata quasi una guerra e dopo aver lavorato tanto sento che non mi è stato regalato niente. Quindi non mi va di fare il finto modesto e vorrei mantenere un po’ di spocchia dicendo che questo successo me lo sono meritato più di tanti altri in Italia. Merito del mio pubblico e di chi ha creduto veramente in quello che faccio al di là delle strutture. Detto questo, al di là dei numeri non vedo tanta differenza rispetto a prima: faccio questo mestiere da diversi anni e non ho avuto il tempo di fermarmi a festeggiare. Riempire due volte il Palalottomatica con due mesi di anticipo è un bel traguardo, ma per carattere penso già alle cose che verranno dopo: mi ero quasi abituato a non sentire le mie canzoni per radio e con questo disco si è invertita la tendenza. Per strada mi riconoscono di più ma io non sono cambiato».
Che importanza ha avuto nel suo percorso l’incontro con Riccardo Sinigallia?
«Direi fondamentale, un’artista come Riccardo ha contribuito parecchio a formarmi nel dare la struttura a una canzone. Lui viene da una generazione che negli anni ‘90 ha prodotto il meglio della scena indipendente italiana e sono particolarmente orgoglioso di un disco come Non sono fiori. Ci ero rimasto davvero male per l’accoglienza che ha avuto nel 2013 e infatti lo riproporrò in buona parte dal vivo».
Quale invece il contributo di Niccolò Contessa e Sine all’ultimo album?
«Sine è il mio produttore da una vita e mi sono affidato a lui per creare l’ibrido tra il pop e il rap a livello di sound. Niccolò è stato l’asso nella manica con cui ho scritto tre canzoni formando una perfetta coppia mal assortita».
Che spettacolo ha allestito per un tour dalle aspettative altissime?
«Voglio che il pubblico conosca la mia storia e le mie canzoni e quindi presenterò quasi integralmente i miei ultimi tre dischi. Le vecchie canzoni valgono quanto le ultime e non vedo l’ora di salire sul palco».
La mia gavetta è stata quasi una guerra, il successo me lo sono meritato