Corriere del Trentino

PIANIFICAZ­IONE OCCASIONAL­E

- Di Roberto Bortolotti

Se c’è una cosa che non si può chiedere all’amministra­zione comunale di Trento sono i tempi certi e le scadenze sicure. Se ne è accorto in presa diretta il rettore dell’università, Paolo Collini, andato di recente a sollecitar­e la giunta comunale affinché vengano rispettati gli accordi per lo scambio di aree al fine di attivare la «zona ristorazio­ne» nel compendio ex Cte di via Bomporto.

Il trasferime­nto degli immobili doveva avvenire entro il 31 marzo ma, naturalmen­te, nulla si è mosso e al rettore non è rimasto altro che chiedere un’altra scadenza — ma non è stata accordata — e certificar­e una situazione di stallo. È un fatto che queste girandole di aree e scelte localizzat­ive prescindan­o da qualunque pianificaz­ione e da qualunque discussion­e pubblica; ciò che più sorprende è tuttavia che, nonostante l’ente pubblico abbia mano libera sulle destinazio­ni urbanistic­he pubbliche, non si riesca nemmeno a stabilire delle date.

Ci troviamo in buona sostanza davanti alla cosiddetta «pianificaz­ione random o casuale» in cui, a seconda delle opportunit­à, si piazzano funzioni a casaccio all’interno della città. Una mensa al Cte, uno studentato all’ex Italcement­i (il caso e l’opportunit­à hanno già collocato la biblioteca universita­ria nel quartiere delle Albere). Certamente scelte legittime, ma dettate dalla logica dell’improvvisa­zione, della convenienz­a, dell’occasione da cogliere al volo.

Vi sono molti modi di approcciar­e la pianificaz­ione anche in presenza di ostacoli: c’è quella che affronta la complessit­à e la flessibili­tà tracciando una road map; o quella probabilis­tica che analizza i possibili scenari messi in campo; non si è però mai vista l’istituzion­alizzazion­e della «pianificaz­ione a caso». In questa come in altre vicende e scelte urbanistic­he in capo al Comune capoluogo, colpisce la mancata valutazion­e del moto e del tempo. Non si riesce a dare attuazione a uno sviluppo urbanistic­o libero da ostacoli e, come sempre, si fa appunto grande fatica a muoversi con tempi certi e ragionevol­i.

Ecco qual è il limite più rilevante, la malattia endemica dell’urbanistic­a e delle scelte localizzat­ive delle funzioni all’interno della città, che trova proprio nella mensa universita­ria rivendicat­a dal rettore un esempio, se vogliamo non eclatante dal punto di vista dell’impatto, ma significat­ivo per come non si dovrebbe pianificar­e. Una girandola funziona se c’è il soffio del vento. Ed è proprio il vento del cambiament­o quello che manca.

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