PIANIFICAZIONE OCCASIONALE
Se c’è una cosa che non si può chiedere all’amministrazione comunale di Trento sono i tempi certi e le scadenze sicure. Se ne è accorto in presa diretta il rettore dell’università, Paolo Collini, andato di recente a sollecitare la giunta comunale affinché vengano rispettati gli accordi per lo scambio di aree al fine di attivare la «zona ristorazione» nel compendio ex Cte di via Bomporto.
Il trasferimento degli immobili doveva avvenire entro il 31 marzo ma, naturalmente, nulla si è mosso e al rettore non è rimasto altro che chiedere un’altra scadenza — ma non è stata accordata — e certificare una situazione di stallo. È un fatto che queste girandole di aree e scelte localizzative prescindano da qualunque pianificazione e da qualunque discussione pubblica; ciò che più sorprende è tuttavia che, nonostante l’ente pubblico abbia mano libera sulle destinazioni urbanistiche pubbliche, non si riesca nemmeno a stabilire delle date.
Ci troviamo in buona sostanza davanti alla cosiddetta «pianificazione random o casuale» in cui, a seconda delle opportunità, si piazzano funzioni a casaccio all’interno della città. Una mensa al Cte, uno studentato all’ex Italcementi (il caso e l’opportunità hanno già collocato la biblioteca universitaria nel quartiere delle Albere). Certamente scelte legittime, ma dettate dalla logica dell’improvvisazione, della convenienza, dell’occasione da cogliere al volo.
Vi sono molti modi di approcciare la pianificazione anche in presenza di ostacoli: c’è quella che affronta la complessità e la flessibilità tracciando una road map; o quella probabilistica che analizza i possibili scenari messi in campo; non si è però mai vista l’istituzionalizzazione della «pianificazione a caso». In questa come in altre vicende e scelte urbanistiche in capo al Comune capoluogo, colpisce la mancata valutazione del moto e del tempo. Non si riesce a dare attuazione a uno sviluppo urbanistico libero da ostacoli e, come sempre, si fa appunto grande fatica a muoversi con tempi certi e ragionevoli.
Ecco qual è il limite più rilevante, la malattia endemica dell’urbanistica e delle scelte localizzative delle funzioni all’interno della città, che trova proprio nella mensa universitaria rivendicata dal rettore un esempio, se vogliamo non eclatante dal punto di vista dell’impatto, ma significativo per come non si dovrebbe pianificare. Una girandola funziona se c’è il soffio del vento. Ed è proprio il vento del cambiamento quello che manca.