UN’ONESTA IMPOPOLARITÀ
Ha ragione chi sostiene, non ultimo ieri Sergio Fabbrini sulle colonne del nostro giornale, che il voto siciliano per tanti motivi non sia generalizzabile. Vi sono numerose dinamiche specifiche alla Sicilia che rendono il risultato non facilmente esportabile. Plausibile pensare che alle prossime politiche il Pd faccia meglio, o che gli equilibri all’interno della coalizione di centrodestra cambino, o che il M5S ottenga meno consenso in una competizione tripolare (in Sicilia il centrosinistra non ha mai «brillato» per i suoi successi). Il voto siciliano, tuttavia, ci parla (e molto) anche di dinamiche nazionali . Ci dice delle aspettative degli elettori, delle difficoltà dei partiti di mobilitarli, del crescente fenomeno dell’astensione. Ci conferma, insomma, che in Sicilia, come più in generale nel resto d’Italia (e, con ogni probabilità, anche in Trentino), i partiti non siano più in grado di rappresentare le domande degli elettori, e che questi ultimi faticano a riconoscersi nei partiti stessi. A tutto vantaggio di quelle forze politiche che hanno come primo punto all’ordine del giorno l’«annientamento» del sistema politico attuale.
Domanda e offerta sono due concetti chiave del diritto e dell’economia, ma utili anche a spiegare la «polis». Non me ne vorrà Giovanni Pascuzzi che, circa un anno fa, sul Corriere del Trentino, sosteneva quanto i termini domanda e offerta applicati alla politica generassero in lui disagio, dato che essa non è il «mercato del consenso». Pur essendo d’accordo, userò tali concetti perché intuitivamente immediati. Osservando il dibattito politico attuale, mi pare che mai la distanza tra domanda e offerta politica sia stata più ampia. I cittadini chiedono cose che i partiti non sanno o non possono dare; i partiti propongono soluzioni che gli elettori non percepiscono come tali. La distanza costituisce il terreno su cui crescono i movimenti che fanno dell’antipolitica o dell’impolitica il loro programma. Dobbiamo però dubitare anche di chi critica la politica e subito dopo chiede che le istituzioni (politiche) facciano di più. Come se ne esce? Probabilmente riprendendo la lezione di Churchill, ovvero «il primo compito del governo è governare», anche se ciò può saltuariamente richiedere di prendere decisioni impopolari. L’ammissione che non sempre tutto è possibile aiuterebbe i cittadini disorientati a riconciliarsi con la politica, permettendo alla stessa politica di riappropriarsi dell’orgoglio con cui deve esercitare il proprio ruolo, e che sembra avere smarrito.