Corriere del Trentino

Un laboratori­o di urbanistic­a Il Trentino e il Pup del ’67

Dibattito sul piano di Samonà. Andreatta: «Spunti per il futuro»

- Margherita Montanari

TRENTO La capacità di immaginare responsabi­lmente e democratic­amente lo sviluppo di un territorio ha fatto del Pup67 di Giuseppe Samonà uno strumento urbanistic­o ancora oggi in grado, a distanza di cinquant’anni dalla sua ideazione, di accompagna­re le classi politiche e tecniche nel percorso di progettazi­one del Trentino del futuro. È quanto emerso da un confronto sulla pianificaz­ione urbana provincial­e, che ha ripercorso le tappe del piano urbanistic­o provincial­e dal 1957 alla sua prima modifica, nel 1987, a un secondo adattament­o, messo in piedi nel 2008. Al dibattito non sono mancate le menti del Pup67, Giampaolo Andreatta, l’umanista coordinato­re del progetto e Sergio Giovanazzi, l’architetto che a soli 23 anni divenne coautore del Pup.

I due hanno sottolinea­to l’importanza che, ancora nel 2017, ricopre il concetto di «unità insediativ­a», secondo Giovanazzi l’aspetto meno attuato del piano «perché spiegato nella relazione ma non incluso nelle norme d’attuazione». «Sono contrario alla mossa della Provincia — ha esordito Andreatta riferendos­i all’intervento precedente dell’assessore Carlo Daldoss — di abolire o fondere i comuni. Non riesco a immaginare un insieme di case senza una figura di riferiment­o. Certi paesi, oggi senza parroco, medico e sindaco, sono diventati dei dormitori. La via da seguire politicame­nte, in Trentino, è quella delle unità insediativ­e». In aggiunta a quella della sostenibil­ità, che coniughi «riuso e durabilità all’interno delle comunità».

Proprio dal concetto di sostenibil­ità umana era nato il propensare getto di Samonà. E Francesco Infussi, professore di progettazi­one urbanistic­a al Politecnic­o di Milano, ieri lo ha spiegato: «Il piano, proponendo­si come patto condiviso, è stato in grado di affrontare l’imprevedib­ilità del futuro e l’incertezza dell’economia con flessibili­tà, adattando la modernità alla tradizione, dando ascolto ai bisogni dell’umanità e agendo sull’immaginari­o collettivo, sulle identità, per frenare l’esodo della popolazion­e dalle valli». Infatti, negli anni in cui Bruno Kessler e altri pilastri dell’autonomia trentina, tra cui Beniamino Andreatta, ebbero l’intuizione politica di alla modernizza­zione e allo sviluppo economico attraverso il filtro di un nuovo piano urbanistic­o, il Trentino stava vivendo anni di crisi agricola e migrazioni. Ripensando la spazialità del territorio e dandogli una natura insediativ­a, il piano divenne il motore del turismo e dell’industria.

Al Pup67 vennero fatte alcune modifiche: nel 1987 Franco Mancuso, a seguito delle alluvioni, introdusse vincoli di sicurezza ambientale; poi, nel 2008, la pianificaz­ione fu rivista in un’ottica di sussidiari­età responsabi­le e valorizzaz­ione del paesaggio. Ma è stato il modello di 50 anni fa, l’«utopia tecnicamen­te fondata» (così l’architetto Leonardo Benevolo descriveva il lavoro di Giuseppe Samonà) che partiva da una visione identitari­a del territorio, a rendere il Trentino un laboratori­o di urbanistic­a. In questo piano visionario, secondo Giampaolo Andreatta, si ritrovano gli spunti per «dare una nuova utopia al Trentino». Future pianificaz­ioni, secondo Susanna Serafini, presidente dell’Ordine degli architetti, «dovranno prendere in esame l’aspetto della demografia, il problema dell’invecchiam­ento della popolazion­e», ma anche «tendere l’orecchio ai cittadini e saper interpreta­re la realtà di montagna».

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Rensi) (foto Relatori Da sinistra il presidente della sezione trentina dell’Inu Maurizio Tomazzoni, l’assessore Carlo Daldoss e la presidente dell’Ordine degli architetti Susanna Serafini

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