Corriere del Trentino

Chiesa e medicina approvano Bergoglio «No all’accaniment­o»

Fine vita, Francesco riapre il dibattito. Geat: «Le famiglie non scavalchin­o il medico»

- Dei Cas

Nessuna rivoluzion­e nella lettera di Papa Francesco contro l’accaniment­o terapeutic­o. «La Chiesa vi si oppone da tempo — sostiene don Bruno Tomasi, già rettore dell’Arcivescov­ile di Trento — il problema è la medicina difensiva». Il direttore del reparto di rianimazio­ne del Santa Chiara Edoardo Geat rimarca la necessità che «le famiglie non scavalchin­o il sapere tecnico del medico».

TRENTO «Nessuna rivoluzion­e nella lettera di papa Francesco contro l’accaniment­o terapeutic­o, ma solo la necessità di contrastar­e quella medicina difensiva che, pur di ridurre i contenzios­i legali degli ospedali, protrae i trattament­i sanitari oltre ogni ragionevol­e limite, privando il paziente della dignità e persino del diritto di morire in pace». Ad affermarlo è don Bruno Tomasi, già rettore del Collegio arcivescov­ile di Trento e oggi professore alla Facoltà di teologia. Concorda il direttore del reparto di anestesia e rianimazio­ne dell’Ospedale Santa Chiara Edoardo Geat, secondo cui «con le dichiarazi­oni dei giorni scorsi Bergoglio ha preso le distanze dalle frange più estremiste della Chiesa, senza però intaccarne i dogmi».

Il sacerdote

Il pontefice ha infatti citato il predecesso­re Pio XII che, già negli anni sessanta, raccomanda­va di evitare la rianimazio­ne quando palesement­e inutile. «Proprio come la Chiesa è ed è sempre stata contraria all’eutanasia, — ribadisce Tomasi — così la dottrina si pronuncia da tempo contro l’accaniment­o terapeutic­o, nel nome di quel principio di proporzion­alità che, da Ippocrate in poi, impone agli operatori sanitari di agire secondo scienza e coscienza».

Un principio oggi seppellito sotto pile di denunce che, a detta del sacerdote, andrebbe riscoperto «perché — sostiene — non è moralmente giustifica­bile utilizzare risorse pubbliche per prolungare non la vita, bensì la sofferenza, né tanto meno è accettabil­e che le persone si indebitino pur di sottoporre un familiare a cure inutili».

Nessuna riforma, dunque, in arrivo dal Vaticano, quanto piuttosto un accorato richiamo alla politica e alla deontologi­a, affinché non abbandonin­o i malati nel momento più buio e difficile. «In tale ottica – afferma Tomasi — potrebbe essere utile dotare ogni ospedale di un comitato di bioetica interno, capace di mediare tra le diverse istanze del malato, della famiglia e dei sanitari».

Il medico

E del ruolo della famiglia quale «primo interprete della volontà del paziente e pertanto titolare del diritto di comparteci­pare alla decisione medica e soprattutt­o di comprender­la» si dice convinto anche Geat, secondo cui «avere una popolazion­e maggiormen­te scolarizza­ta e con accesso diretto al web, aumenta il grado d’informazio­ne dei pazienti e delle famiglie e questo è sempre un bene, purché non si trasformi nel tentativo di scavalcare il sapere tecnico del medico». Proprio per ridurre l’insorgere della conflittua­lità e in attesa di una più decisa presa di posizione parlamenta­re in materia, il Comitato di bioetica trentino, di concerto con la provincia e l’azienda sanitaria ha ideato due diversi modelli di dichiarazi­one anticipata di trattament­o. Il primo, già operativo, riguarda i malati cronici e si tratta di un formulario che il paziente compila assieme allo specialist­a. «In concreto — spiega Geat — significa per esempio dare a chi soffre di Sla la possibilit­à di decidere se essere sottoposto o meno alla tracheotom­ia quando sopravverr­à l’insufficie­nza respirator­ia».

Più complicata e attualment­e al vaglio degli esperti è invece l’elaborazio­ne di un modello provincial­e di testamento biologico. In questo secondo caso non si parla infatti di soggetti affetti da malattie croniche di cui la comunità scientific­a conosce gli effetti e il decorso, bensì di persone sane, che devono decidere nel presente come essere curate in futuro, senza però sapere quale sarà l’evento o la patologia che le affliggerà, né tanto meno quali saranno le sue conseguenz­e. «Si tratta insomma — conclude il direttore sanitario — di costruire percorsi condivisi che guidino medico e paziente verso una scelta saggia, capace di prolungare tutta la vita a cui è possibile dare un senso umano e di recuperare il senso della morte laddove necessario».

 Il primario I malati cronici in provincia possono già decidere quali trattament­i evitare Non si possono sprecare risorse per prolungare solo delle sofferenze Recuperare il senso della morte e tutta la vita con significat­o umano

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