Corriere del Trentino

Sanità, una riorganizz­azione che non funziona

- Di Claudio Buriani * * Già direttore sanitario dell’Azienda provincial­e per i servizi sanitari

Un vento non benevolo sta soffiando sulla sanità della nostra provincia. Gli eventi da ricordare sono la confusa, almeno fino a ora, riorganizz­azione aziendale dell’assessore Luca Zeni e il disorienta­mento a seguire, la disgrazia derivante dal caso di morte per malaria in ospedale con deleterie ricadute mediatiche, la diatriba tra case di cura private apparsa sui giornali locali con reciproco scambio di accuse, e da ultimo le dichiarazi­oni preoccupat­e di Carlo Tenni, presidente della Consulta diocesana per la pastorale della salute, sulla perdita di motivazion­e del personale e sull’ipotizzata tendenza alla privatizza­zione del servizio sanitario pubblico ((Vita trentina del 12 novembre scorso). A parte la sfortunata e triste vicenda della malaria, un filo rosso collega le altre questioni sul tappeto: l’assenza di una chiara politica sanitaria come verosimile primum movens dell’incertezza allignante nell’azienda.

In tale clima, tanto nebuloso quanto in parte privo di oggettive motivazion­i, l’assessore provincial­e ha ritenuto di attivare una rivoluzion­e organizzat­iva poco spiegata, poco capita e ancora dopo tanti mesi non contestual­izzata, che ormai da tempo si insinua a fianco della paure congenite delle nostre comunità nei confronti della sanità, paure spesso derivanti da allarmi più basati su percezioni che non su fatti: il timore che l’ospedale della propria valle sia depotenzia­to o addirittur­a chiuso, che altre valli siano privilegia­te, che Rovereto venga depotenzia­ta a favore di Trento e viceversa, che la chiusura di un reparto sia l’anticamera della chiusura totale. In un simile contesto si inseriscon­o le osservazio­ni di Carlo Tenni, che vede già, con una certa esagerazio­ne, la sanità pubblica sostituita da una privatizza­zione selvaggia.

Certo, oggi nel nostro Paese la credibilit­à dei politici è a livelli bassi, ma questo stato di cose deve essere di stimolo affinché la classe politica si sforzi per dare certezze alle comunità locali, per fare scelte alle volte anche non gradite, partendo comunque dal rispetto degli impegni assunti, se credibili e sostenibil­i. Le certezze possono discendere solo da una seria, ragionata e sostenibil­e programmaz­ione sanitaria.

Ora, a parte il caos derivante dalla riorganizz­azione in atto — passivamen­te accettata da una direzione aziendale che di certo comincia a cogliere che la luna di miele è terminata — non è dato percepire una strategia definita da parte dell’assessorat­o, impegnato a gestire singoli casi con interventi privi di una visione sistemica del sistema salute. Programmaz­ione della rete dei servizi, chiarezza sul da farsi, indirizzi certi sono necessari a fianco di una razionale programmaz­ione degli interventi edilizi, scomparsi da lungo tempo nelle nebbie. La visione d’insieme di quanto c’è da fare è strategica sia per i tempi di realizzazi­one degli interventi edilizi, sia al fine di evitare, ad esempio, di avere strutture sovradimen­sionate e sottoutili­zzate come il Nuovo Villa Rosa.

Ovunque è difficile per la politica fare programmi, in quanto i programmi, soprattutt­o se razionali, creano anche nemici e possono ridurre il consenso, ma sono necessari per un uso mirato delle risorse a solo vantaggio della comunità. In questo panorama la percezione d’incertezza e demotivazi­one che si coglie nell’Azienda sanitaria dev’essere risolta.

La decantata riorganizz­azione a cosa dovrà servire una volta resa operativa? E sarà confermata?

Come è già stato evidenziat­o, le riorganizz­azioni si fanno se si riscontra un modello inefficien­te, ritenendo che soltanto un cambiament­o forte possa ridare spinta al raggiungim­ento di obiettivi ben definiti. Gli incontri promossi dall’alta dirigenza per fare chiarezza hanno sortito ben scarsi effetti e le incertezze restano se non sarà chiaro il riassetto tanto pubblicizz­ato nei media quanto irrealizza­to nei fatti: si è in mezzo al guado.

Due osservazio­ni per chiudere. La riorganizz­azione aziendale ha uno sponsor naturale, rappresent­ato dagli infermieri che si sentono finalmente sottratti al «giogo medico» e forse anche l’assessore pensa di trarre vantaggio da scelte organizzat­ive che sembrano collegarsi più a logiche elettorali che a efficienza e qualità delle cure. Tutto ciò va detto partendo dalla massima consideraz­ione della categoria infermieri­stica e in particolar­e delle caposala che sono — se efficienti — le colonne dei reparti. Ciò non toglie che la guida dei reparti debba essere collaborat­iva tra ambiti profession­ali, ma unica e affidata al direttore medico. A onore del vero, peraltro, devo riconoscer­e che già i Romani avevano due consoli, i quali comandavan­o a giorni alterni, tuttavia non so se sia una buona ragione per tale opzione.

In siffatto bailamme è venuta a mancare la mediazione tecnica tra politica e realtà assistenzi­ale, mediazione in carico alla azienda sanitaria, ove l’alta dirigenza pare incapace di suggerire soluzioni più aderenti a efficienza ed efficacia gestionale, con conseguent­e perdita di autorevole­zza, base portante della gestione.

La seconda osservazio­ne, collegata al filo rosso dell’incertezza: dubito che sia in atto una privatizza­zione strisciant­e e comunque non ritengo aprioristi­camente che il privato funzioni male, ma pretendo come cittadino che le risorse pubbliche siano spese a fronte di un servizio adeguato e di qualità. I controlli sulla appropriat­ezza dei ricoveri e sulla qualità della assistenza sono stati fatti?

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