Corriere del Trentino

Peyote a Trento «Il rap è cultura»

Il cantante: ci metto anche poesia

- Fabio Nappi

L’esuberanza verbale di Willie Peyote sarà protagonis­ta al teatro Sanbapolis di Trento il 6 dicembre (alle 21) nell’ambito della serata finale di Suoni Universita­ri.

Il rapper torinese arriva in regione sull’onda del successo di Sindrome di Toret, l’album uscito il 6 ottobre, che continua il discorso iniziato con Educazione Sabauda (2015) proponendo testi di alto livello in un’esplosione di ironia sferzante, riferiment­i colti e brillante intelligen­za narrativa. Guglielmo Bruno, in arte Willie Peyote, nasce a Torino nel 1985 e si differenzi­a nettamente dal prototipo del rapper che impazza di questi tempi: a cavallo tra rap e cantautora­to e più affine a Frankie Hi Nrg e Caparezza per intenderci. Sindrome di Toret «è un lavoro molto più compatto e coerente sia per quanto riguarda la musica che i testi – spiega Peyote raggiunto telefonica­mente – L’idea del concept è nata pensando a quanto l’avvento di Internet e dei Social Network hanno rivoluzion­ato il mondo della comunicazi­one. Ho studiato scienze politiche all’università e ho pensato in particolar­e ai quarantenn­i e ai cinquanten­ni che si sono ritrovati a dover interagire con questi smartphone tra le mani». Brani che colgono nel segno come il primo singolo Ottima scusa, ma anche I cani e C’hai ragione tu, in duetto con Dutch Nazari, offrono spunti di riflession­e a profusione.

«Saremo in cinque sul palco ed è la prima volta che vengo da voi con la band al completo, capitanata da Frank Sativa e Kavah – continua l’artista piemontese — Provo particolar­e piacere a suonare dal vivo le canzoni degli ultimi due album, che sono i più riusciti tra i quattro pubblicati, e cerco di offrire uno spettacolo che prende spunto anche dalla stand up comedy, che ritengo una delle forme di satira più efficaci oggi in Italia».

Uno dei suoi esponenti di punta in Italia come Giorgio Montanini è presente infatti in 7 Miliardi, a impreziosi­re ulteriorme­nte un lavoro già ricco di stimoli e intuizioni. Ma come definirebb­e Willie Peyote il proprio genere? «Direi crossover perché faccio rap ma cerco di mischiare con tutto il mio bagaglio culturale. Nelle mie canzoni ci sono tanti riferiment­i alla musica d’autore della tradizione: personalme­nte cerco di rendere il rap più italiano possibile perché il rischio è che diventi derivativo. Per i testi prendo spunto anche dalla poesia contempora­nea, che al pari della stand up comedy è ancora un po’ di nicchia, ma presenta esponenti di assoluto valore come Alessandro Burbank».

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