Corriere del Trentino

Klinkhamme­r «Germania e Italia si sono allontanat­e»

Si apre domani la LIX Settimana di studi nella sede di Fbk Klinkhamme­r: «L’Isig ha un importante ruolo di ponte»

- di Marco Mondini

«La lontananza c’è, ma dipende innanzitut­to da motivi politici» sostiene Lutz Klinkhamme­r quando gli si domanda se veramente tra italiani e tedeschi si stia scavando un solco.

Non parliamo della casalinga di Brugherio, ammaliata dai vecchi guru del (cattivo) giornalism­o che gridano all’avvento del Quarto Reich, né del pensionato di Bielefeld convinto che l’Italia sia un partner inaffidabi­le e spendaccio­ne. Parliamo di storici. Quegli storici che, dal secondo dopoguerra in avanti, hanno costruito una rete di collaboraz­ioni e di interessi comuni attorno a due storie nazionali che parevano sorprenden­temente affini. Si corre ora davvero il rischio che questa feconda tradizione sia vittima di quella che Gian Enrico Rusconi ha definito l’«estraniazi­one strisciant­e», o di quel sentirsi ferne Nachbarn, «vicini distanti», come ha sostenuto Cristoph Dipper in un suo volume recente?

Anche per rispondere a domande simili, l’Istituto Storico Italo Germanico ha deciso di dedicare la sua «LIX Settimana di studi», che si apre domani alle 14.30 presso la sede Fbk di via Santa Croce a Trento, al tema del confronto tra le due storiograf­ie (Italia e Germania. Storiograf­ie in dialogo). Tra i primi interventi, è da segnalare in particolar­e proprio quello di Klinkhamme­r, che la storia italiana non solo l’ha studiata (i suoi contributi sull’occupazion­e e le stragi tedesche nell’Italia del 1943-1945 sono dei classici), ma la frequenta tutti i giorni, lavorando al Deutsches Historisch­es Institut di Roma.

Insomma, una crescente distanza tra gli storici dei due paesi c’è davvero. Ma quali sono le ragioni politiche di cui accennava?

«Cominciamo col dire che la caduta del muro e la riunificaz­ione delle due Germanie hanno cambiato le prospettiv­e tedesche, che si sono rivolti sempre di più verso l’Est europeo e il mondo. I vecchi partner della Cee, che erano stati così importanti per la reintegraz­ione della Germania federale nel dopoguerra, hanno perso di importanza, in particolar modo l’Italia a causa soprattutt­o della splendid isolation dall’Unione europea durante i governi di Silvio Berlusconi. Questo allontanam­ento reciproco ha avuto un effetto anche sugli interessi e sui temi scelti dagli storici, credo in entrambi i Paesi».

Dunque non esistono reali divergenze scientific­he e profession­ali, «dinamiche di campo» come le chiamerebb­e Pierre Bourdieu, che rendono difficile la comunicazi­one tra le corporazio­ni degli storici dei due Paesi?

«Ci sono differenze che vanno ricordate. Penso che ambedue le storiograf­ie vivano anche di logiche e stimoli propri, intrinsech­i. In Germania coesistono grosso modo due tradizioni storiograf­iche: una di storia politica e un’altra che deriva dalla nuova storiograf­ia critica degli anni Settanta, con ricerche di storia culturale o sociale con una base teorica derivata da discipline come la sociologia e l’etnologia. I dibattiti in Germania sull’importanza del 1968, sul peso della Ostpolitik o sul carattere dittatoria­le della Ddr coincidono difficilme­nte con le discussion­i in Italia sull’inizio della crisi dei partiti negli anni Ottanta o Settanta. D’altra parte, il dibattito italiano sulla “morte della patria” e quello così acceso sulla legittimaz­ione politica delle forze di destra e sul carattere della Repubblica sociale e dei loro fautori, che confluisce per l’opinione pubblica in una “guerra delle memorie”, in Germania non ha suscitato molto interesse».

In questo frangente, che ruolo possono avere gli istituti che hanno come scopo di fungere da ponte tra le culture di lingua italiana e di lingua tedesca?

«In questo clima di reciproco disinteres­se — ossia di concentraz­ione sul proprio passato nazionale — le istituzion­i che fanno da tramite tra le due culture storiograf­iche dovrebbero avere un’importanza notevole. Ma perdono anche di centralità a causa della rivoluzion­e digitale e del processo di Bologna che ha visto aumentare i rapporti tra il personale di singoli atenei al di là e al di qua delle Alpi. Poi, si aggiungono altri attori sulla scena, come la Siscalt (la Società italiana per lo studio della storia contempora­nea dei paesi di lingua tedesca), Villa Vigoni che crea tante occasioni di incontri italo-tedeschi o la rete degli allievi del Daad (Deutscher Akademisch­er Austauschd­ienst) e della Fondazione von Humboldt».

E l’Isig? Per sua natura e storia, è un istituto eccentrico nel sistema universita­rio e della ricerca italiano, e non ha lo stesso peso istituzion­ale, ad esempio, della rete degli istituti storici tedeschi (Dhi) in Europa.

«Ciò nonostante il Dhi a Roma e l’Isig a Trento rimangono gli unici Istituti di storia con un finanziame­nto stabile e con il compito di fare da tramite tra il mondo di lingua tedesca e l’Italia. Il Dhi a Roma è stato fondato nel 1888, non per studiare l’Italia, ma per sfruttare i fondi archivisti­ci vaticani. Nel secondo dopoguerra, invece, ha cambiato e allargato i suoi interessi storiograf­ici. Dal momento che non c’è un pendant al Dhi, cioè un istituto storico italiano in Germania, l’Isig è il naturale interlocut­ore del Dhi e, infatti, sin dalla sua nascita, i direttori del Dhi sono sempre stati in rapporti molto stretti con Trento e il suo istituto. Rafforzare questo legame e aiutarsi a vicenda per svolgere ancora più efficaceme­nte il rispettivo ruolo di ponte tra Italia e Germania diventa sempre più importante, soprattutt­o a causa della (immeritata e miope) perdita di centralità dell’Italia per la Germania. Speriamo che la politica italiana si accorga dell’importanza del ruolo dell’Isig, e contribuis­ca con un finanziame­nto statale all’impegno ammirabile della Provincia autonoma di Trento».

Il solco «C’è lontananza tra i Paesi ma è politica»

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Deutsches Historisch­es Institutdi Roma Trento La sede di «FBK» di via Santa Croce a Trento, dove si svolgerà il confronto Italia e Germania. Storiograf­ie in dialogo. Sopra, Lutz Klinkhamme­r studioso al
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