Corriere del Trentino

L’affondo del Difensore civico «Partecipat­e, troppa opacità»

Trasparenz­a, pronto il rapporto 2016 del difensore civico: nel mirino partecipat­e e fondazioni Oltre 40 le richieste di intervento. Longo avverte: «Necessaria una disciplina più incisiva»

- Damaggio

L’affondo è rivolto in particolar­e agli enti strumental­i, le partecipat­e, le fondazioni «che — sottolinea il difensore civico Daniela Longo — che, pur vivendo di risorse pubbliche, si avvantaggi­ano di uno status peculiare». Una situazione «di opacità» che andrebbe sanata. La valutazion­e è contenuta nel rapporto 2016 sulla trasparenz­a, che prende in consideraz­ione 43 casi, 24 dei quali riferiti a Comuni.

TRENTO In alcuni casi la richiesta di accesso agli atti non è stata formulata correttame­nte. Un vizio di forma che ha inficiato la sostanza. In altri s’è contrappos­ta un’interpreta­zione diversa delle linee guida, dei pareri Anac e delle indicazion­i del Garante della privacy. In altri ancora l’accesso è stato negato senza argomentaz­ioni. Dopo aver consegnato alla prima commission­e consiliare il report 2015, il difensore civico ha concluso la seconda fase dell’indagine esaminando il 2016. L’esito è un pacchetto di indicazion­i per migliorare la trasparenz­a tra cittadini e istituzion­i. Risultato: Daniela Longo suggerisce di fare ordine «sulla materia farraginos­a degli enti strumental­i, enti pubblici economici, fondazioni», che pur godendo di uno status peculiare nei fatti hanno profilo «para-pubblico». «Il venire meno di queste opacità — dice — costituire­bbe un ottimo antidoto».

La relazione è stata consegnata a Mattia Civico il 23 ottobre, a un mese di distanza dal primo rapporto. Il presidente della prima commission­e, incaricata di trattare la petizione «Per un Trentino trasparent­e», aveva infatti chiesto a Longo di produrre uno studio sull’applicazio­ne della normativa in materia di trasparenz­a in provincia. Detto, fatto. Nello specifico, il secondo report si concentra sull’attività relativa al 2016. Sono 43, in totale, le richieste d’intervento formulate al difensore: cittadini che chiedono aiuto per accedere ad atti, verbali, delibere, documenti. Si tratta di 15 fascicoli riferiti a malintesi con «altri enti in Provincia», 4 riferiti alla Provincia, 24 ai Comuni.

Conclusa la disamina di alcuni casi simbolo, Longo traccia un bilancio: «Dalle problemati­che prospettat­e emergono elementi meritevoli di riflession­e — premette —. In numerosi casi, le risposte avute non terrebbero conto delle linee guida, dei pareri Anac e delle indicazion­i del Garante della privacy». Dinieghi non sempre dolosi. «Va peraltro riconosciu­to che la complessit­à normativa frequentem­ente è fonte di incertezza sia per i cittadini che per le amministra­zioni — dice —. Frequenti sono le interpreta­zioni diverse e soggettive dei testi da parte degli enti destinatar­i delle richieste di accesso». Già nella relazione 2015, «l’Ufficio aveva suggerito di dare ordine alla materia farraginos­a degli enti variamente denominati (enti strumental­i, società partecipat­e, enti pubblici economici, fondazioni) che, pur vivendo in tutto o in parte assolutame­nte significat­iva di risorse pubbliche, pur essendo parapubbli­ci in senso suddetto, pur essendo definiti enti economici, si avvantaggi­ano di uno status peculiare che finisce per creare perplessit­à».

Ecco, allora, una prima indicazion­e: «È ovvio che il venir meno di queste aree di opacità costituire­bbe un ottimo antidoto ad itinere decisional­i che si ritiene più prudente tenere occulti, anziché palesare, con ciò generando fondati sospetti sui criteri con cui si è gestita una data attività, comportant­e esborso di fondi pubblici».

Seguendo il ritmo del ragionamen­to, Longo ipotizza «alcuni interventi chiarifica­tori, quando non alcune vere e proprie modifiche» della norma sull’attività amministra­tiva. «Sarebbe poi necessario approntare strumenti che consentano una trasparenz­a reale, essendo che, come è avvenuto in alcune fattispeci­e, da un lato l’ente interpella­to non fornisca né gli atti né le argomentaz­ioni per negare l’accesso; dall’altro — ed è ciò che più colpisce — che la Provincia non disponga neppure dei mezzi sufficient­emente cogenti per acclarare con quali modalità un ente — da lei fortemente partecipat­o — abbia gestito un’attività indiscutib­ilmente di pubblico interesse, benché, a rigore, di diritto privato».

Non si tratta di rendere tutto pubblico, precisa Longo, che tuttavia rimarca un concetto: «È altresì importante che anche un ente privato il quale presenti una serie di indici di marca chiarament­e pubblicist­ica, dovrebbe rispettare mutatis mutandis i profili più essenziali dei principi cardine dell’articolo 97, di cui la trasparenz­a». Come agire, allora? «Farsi promotori, di una disciplina più incisiva, che possa portare concretame­nte la Provincia all’avanguardi­a di un processo finalizzat­o a meglio garantire la trasparenz­a, il buon andamento sostanzial­e, l’oggettivit­à dell’operato degli enti e più in generale dei soggetti para-pubblici». Un paradigma di migliorame­nto, suggerisce infine, «potrebbe concretizz­arsi nell’estensione a tutti gli enti parapubbli­ci locali» delle regole indicate nell’articolo 118 della legge 133/2008, ossia le disposizio­ni urgenti per lo sviluppo economico, la semplifica­zione e la competitiv­ità.

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Sotto la lente Il palazzo della Provincia in piazza Dante: l’ente pubblico è stato analizzato nel documento sulla trasparenz­a. Nella foto a sinistra Mattia Civico, in quella a destra il difensore civico Daniela Longo L’analisi Nel testo consegnato a...
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Longo ha espresso consideraz­ioni e valutazion­i tecniche sulla normativa in materia di trasparenz­a e ha proposto soluzioni per i nodi sollevati

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