L’olocausto dimenticato di Trieste
Nel libro Via San Nicolò 30 Curci racconta una storia di delatori L’autore: «Vicenda nota ma scomoda che si voleva tenere nascosta»
Nel suo libro Maschere per un massacro lo scrittore triestino Paolo Rumiz riporta un antico verso del Corano inciso sulla parete di un museo bosniaco ridotto in macerie per via della guerra: «Guardati dal nemico, ma dall’amico guardati cento volte». Un ammonimento che diventa tragico se lo associamo alle vicende raccontate dal giornalista Roberto Curci in Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista (il Mulino, 2015). Un libro documentato e rigoroso, una discesa nel Maelström di una città di mare, Trieste, che non ha ancora fatto i conti con il proprio passato e la propria coscienza, con «l’olocausto dimenticato» della Risiera di San Sabba; una storia di delatori ebrei che fanno catturare, deportare e uccidere i propri correligionari; una storia di fantasmi, «di sparizioni, di persone che non volevano o non si aspettavano di dover sparire. Una storia sbagliata che si vorrebbe dimenticare, e che tuttavia riveste uno straordinario valore esemplare». L’autore presenterà il libro il 2 dicembre alle 11 alla libreria Einaudi di piazza Mostra a Trento.
Roberto Curci, che storia scomoda di «traditori e traditi» ha voluto raccontare e come ne è venuto a conoscenza?
«Per anni ho diretto le pagine culturali del Piccolo di Trieste, un ruolo per il quale si incappa spesso in personaggi, storie e situazioni particolari. O tragiche come in questo caso. Venticinque anni fa venni a conoscenza della vicenda di Mauro Grini (1910-?), ebreo triestino che tra il 1944 e il 1945 collaborò attivamente coi nazisti, segnalando e facendo arrestare centinaia di correligionari tra Trieste, Veneto, Lombardia e Toscana
Traditori Mauro Grini tra il ‘44 e il ‘45 collaborò attivamente coi nazisti
per una ricompensa di 7000 lire ciascuno. Una volta uscito dal giornale ho avuto più tempo per approfondire questa storia e sono entrato in contatto con una nipote del Grini, figlia del fratello Carlo, la quale è stata oltremodo reticente a collaborare e in seguito furiosa per la pubblicazione del libro».
Un atteggiamento che ha riscontrato quasi in tutte le persone da lei contattate mi pare.
«Assolutamente, prima che il libro uscisse ho ricevuto persino un’intimazione da uno studio legale per bloccarne la pubblicazione».
Una storia scomoda insomma, «una storia che si vorrebbe dimenticare» scrive.
«Ma non una storia sconosciuta, anzi. Io non ho fatto nessuna rivelazione clamorosa, mi sono semplicemente limitato a mettere insieme nomi e fatti che a Trieste tutti conoscevano e conoscono benissimo. La documentazione poi era a disposizione di chiunque, in alcuni saggi storici erano già presenti degli accenni a Mauro Grini, il “Grande Traditore”. Il fatto che per settant’anni nessuno abbia approfondito questa storia sinceramente mi ha un po’ turbato. Una volta che l’ho fatto io ho ricevuto apprezzamenti e supporto, anche da molti storici; altri invece hanno interpretato male il tutto, definendola un’operazione di basso profilo, anche perché nel libro ho toccato qualche nervo scoperto su una gloria locale, il poeta Umberto Poli, in arte Umberto Saba».
Nel libro Saba e Mauro Grini sono i grandi protagonisti e le coincidenze che li legano sono a dir poco inquietanti effettivamente.
«In un palazzo di via San Nicolò 30, nel quale aveva vissuto James Joyce, coesistevano a un tempo la sartoria della famiglia Grini e la Libreria Antiquaria di Umberto Saba, anch’egli ebreo ma allo stesso tempo antisemita, imparentato alla lontana coi Grini. Il fratello di Mauro, Carlo, sposò una giovane conosciuta durante la prigionia in Risiera, Lidia Frankel, che era stata commessa nella libreria di Saba e le cui due sorelle, Margherita e Malvina, si erano suicidate nel 1922. Anche loro avevano lavorato per Saba ma se ne erano presto allontanate per via delle molestie subite. Su Saba non ho formulato nessuna accusa, solo esposto fatti; ci basti di lui il poeta».
Mauro Grini viene condannato a morte in contumacia nel 1947, tramite fucilazione alla schiena (un metaforico contrappasso della sua condotta di traditore peraltro). Ma della sua sorte non sappiamo nulla e di lui non ci resta neanche una fotografia.
«Anche qui non ho formulato risposte definitive: alcuni indizi ci fanno pensare che sia morto con altri ebrei in Risiera nel ’45, altri ce lo mostrano a passeggio a Milano, ripulito e coi capelli tinti; per altri grazie ai soldi guadagnati sarebbe fuggito all’estero, come tanti criminali nazisti e collaborazionisti — anche se è più tragico sapere che molti sono rimasti a Trieste, indisturbati e al sicuro, protetti da una cappa di omertà e sottaciuta complicità».
Per Trieste, «bella ma triste» come la sartoria dei Grini, parla infatti di «primato di collaborazionismo» e di «insondabili meccanismi di rimozione».
«Trieste è una città a sé, i lasciti di antica fedeltà austroungarica hanno fatto sì che i tedeschi non vennero visti da tutti come degli invasori stranieri, anzi. Il collaborazionismo coi nazisti, sincero o strumentale che fosse, ha fatto sì che tutti facessero finta di non sapere mentre la Risiera di San Sabba fumava. Gli Alleati in seguito fecero sparire molti documenti in virtù di un principio di pacificazione e bisognò aspettare gli anni ’70 per avere un processo sui crimini della Risiera».