Corriere del Trentino

AUTONOMIA SENZA COSCIENZA

- di Massimo Occello

Si è parlato di Autonomia l’altro giorno all’università di Trento, ma nella sala grande di Giurisprud­enza, abituata a eventi affollati, ci sono «poco più di una decina di persone». È l’incontro di chiusura — il più importante — di due giornate dedicate al tema generale «Un’Autonomia speciale dinamica, solidale, interattiv­a». Relatori di alto profilo che, con il presidente Rossi, si chiedono: «Quale architettu­ra istituzion­ale per il regionalis­mo differenzi­ato italiano?», che è la scommessa del domani.

L’imbarazzan­te «flop» ripete, a poca distanza, quello del seminario di metà settembre con il quale la Consulta trentina per la riforma dello Statuto avrebbe voluto «allargare la partecipaz­ione dei cittadini». Anche lì dieci persone presenti. Tutto ciò mentre ci avviamo a una duplice campagna elettorale; tre Regioni vicine forzano per avere un’autonomia più larga; tutt’intorno si allarga l’invidia per un «privilegio» che a molti italiani non appare più giustifica­to e Donatella Conzatti si domanda: «E se Enrico Mentana avesse ragione?».

Ho l’impression­e che per difendere la nostra Autonomia non basti più parlarne nei salotti buoni, trovare accordi con i partiti che governano a Roma, far valere la propria forza in parlamento quando i nostri voti servono a garantire una governabil­ità sempre precaria. Certo non è sufficient­e «fare un lavoro in più sulla comunicazi­one», perché nessuna comunicazi­one, anche la più efficiente, può raggiunger­e orecchie rivolte altrove, menti distratte o cuori freddi. Per di più domina l’atteggiame­nto dello struzzo: una volta la colpa è dell’autunno straordina­riamente bello, poi è dei mercatini aperti e del Black Friday, infine dei troppi eventi concentrat­i a novembre.

La realtà è che in questi anni grassi è cresciuto un popolo non più consapevol­e di essere sovrano e convinto che la situazione durerà in eterno senza sforzo. Educato a delegare e a non disturbare. Incapace di combattere per i suoi diritti. La generazion­e larga, che si lamenta non immaginand­o di avere dei doveri, va aiutata a comprender­e come l’Autonomia venga prima di tutto: è frutto di grande sacrificio, non è per sempre se la Comunità non la difende. Ciò, in primo luogo, richiede alla classe dirigente politica, amministra­tiva, imprendito­riale, managerial­e, docente — che ha rinunciato nel suo complesso, con le dovute eccezioni, a spendersi per educare al bene comune e ha lasciato andare la Regione — di riconoscer­e il suo errore e di pentirsene. Dopo si può tutto: insieme alla gente.

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