AUTONOMIA SENZA COSCIENZA
Si è parlato di Autonomia l’altro giorno all’università di Trento, ma nella sala grande di Giurisprudenza, abituata a eventi affollati, ci sono «poco più di una decina di persone». È l’incontro di chiusura — il più importante — di due giornate dedicate al tema generale «Un’Autonomia speciale dinamica, solidale, interattiva». Relatori di alto profilo che, con il presidente Rossi, si chiedono: «Quale architettura istituzionale per il regionalismo differenziato italiano?», che è la scommessa del domani.
L’imbarazzante «flop» ripete, a poca distanza, quello del seminario di metà settembre con il quale la Consulta trentina per la riforma dello Statuto avrebbe voluto «allargare la partecipazione dei cittadini». Anche lì dieci persone presenti. Tutto ciò mentre ci avviamo a una duplice campagna elettorale; tre Regioni vicine forzano per avere un’autonomia più larga; tutt’intorno si allarga l’invidia per un «privilegio» che a molti italiani non appare più giustificato e Donatella Conzatti si domanda: «E se Enrico Mentana avesse ragione?».
Ho l’impressione che per difendere la nostra Autonomia non basti più parlarne nei salotti buoni, trovare accordi con i partiti che governano a Roma, far valere la propria forza in parlamento quando i nostri voti servono a garantire una governabilità sempre precaria. Certo non è sufficiente «fare un lavoro in più sulla comunicazione», perché nessuna comunicazione, anche la più efficiente, può raggiungere orecchie rivolte altrove, menti distratte o cuori freddi. Per di più domina l’atteggiamento dello struzzo: una volta la colpa è dell’autunno straordinariamente bello, poi è dei mercatini aperti e del Black Friday, infine dei troppi eventi concentrati a novembre.
La realtà è che in questi anni grassi è cresciuto un popolo non più consapevole di essere sovrano e convinto che la situazione durerà in eterno senza sforzo. Educato a delegare e a non disturbare. Incapace di combattere per i suoi diritti. La generazione larga, che si lamenta non immaginando di avere dei doveri, va aiutata a comprendere come l’Autonomia venga prima di tutto: è frutto di grande sacrificio, non è per sempre se la Comunità non la difende. Ciò, in primo luogo, richiede alla classe dirigente politica, amministrativa, imprenditoriale, manageriale, docente — che ha rinunciato nel suo complesso, con le dovute eccezioni, a spendersi per educare al bene comune e ha lasciato andare la Regione — di riconoscere il suo errore e di pentirsene. Dopo si può tutto: insieme alla gente.