Sgarbi ricorda Vallorz «Pittore dell’esistenza»
Sgarbi ricorda il pittore scomparso: «Un artista puro. Auspico che Maraniello lo onori come merita» Il critico demolisce Museion: luogo infetto di appestatori che non hanno nulla a che fare con l’arte
«E ra un artista puro che ha nobilitato le terre trentine». Così Vittorio Sgarbi ricorda lo scomparso pittore solandro Paolo Vallorz. E si raccomanda con il Mart affinché lo onori riconoscendone la grandezza. Lancia, invece, una dura critica al Museion di Bolzano: «è un luogo pieno di orrori».
TRENTO «È stato un pittore in cui la vita, lo spirito, l’anima erano così trasparenti da mettere in contraddizione tutto quello che le avanguardie della morte — che sono necrofile, che stanno del tutto lontane della vita — hanno stabilito negli anni della sua operosità». È con queste parole che Vittorio Sgarbi ci delinea il ritratto dell’uomo e del pittore Paolo Vallorz, che egli conosceva bene e apprezzava. Ci racconta di averlo incontrato più volte, al Mart e forse l’ultima un paio di anni fa a Parigi, nel suo studio. Nato a Caldes, in val di Sole, nel 1931, Vallorz è scomparso lunedì, appunto a Parigi dove viveva da sempre, pur tornando soprattutto in estate in Trentino.
Professor Sgarbi, come avviene il rapporto tra Paolo Vallorz e quelle che lei definisce «avanguardie della morte»?
«Vallorz ha vissuto anni difficili in cui essere un pittore di emozioni, di sentimenti sembrava un crimine. La pittura era considerata infatti un’espressione superata e retrograda, fino a che a un certo punto si è aperto uno spiraglio quando Balthus partecipò alla Biennale del 1980».
In che senso?
«Si trattò di un evento che ridiede qualche speranza ai pittori figurativi come Vallorz, che ha così ripreso a dipingere, e seppure con tolleranza è stato sopportato. Ha avuto un periodo della sua formazione molto difficile proprio perché ha dovuto resistere alle avanguardie della morte che invece dominano al Museion di Bolzano, luogo infetto di appestatori che non hanno nulla a che fare con l’arte. Un museo pieno di orrori. Qui non esiste un dipinto di Vallorz. Perché? Perché non lo merita?».
Lei è da sempre un sostenitore dell’estetica di Vallorz.
«Quando il Mart con Gabriella Belli ha acquisito la sua donazione, lo ha in qualche modo legittimato, riparando alla situazione preesistente. Prima di questo momento che è abbastanza recente, gli unici tre critici a parlarne bene eravamo io, Giovanni Testori e Jean Clair».
Che cosa apprezza maggiormente della pittura di Vallorz?
«Con riferimento alle figure umane, ma anche alla rappresentazione della natura, quella di Vallorz è una pittura diretta, vera, che ci fa sentire l’uomo come misura della realtà. Tutto questo è stato abbastanza raro nel Novecento. Lui è un pittore dell’uomo, dell’esistenza, della sofferenza e quindi la sua personalità è così individuale e originale da non potere essere catalogato in nessun gruppo, in nessuna corrente. Un artista, puro, ecco».
Più volte si è interrogato sul concetto di contemporaneo. Vallorz lo è in che senso?
«Contemporaneo non è quello che decide qualcuno, è quello che la nostra epoca esprime. Non esiste un contemporaneo sì e uno no. Coloro che invece ritengono che il contemporaneo debba essere per forza questa strategia della morte fanno “il loro” contemporaneo. Il contemporaneo mio è quello di Vallorz, di Giancarlo Vitali, di Piero Guccione, pittori che pongono al centro un’estetica compatibile con l’uomo, non una visione volutamente provocatoria».
Alberi e cieli tersi della sua terra più e più volte dipinti, ma non per questo un pittore «trentino».
«È un pittore della sua memoria che si è formata in val di