Fra le politiche «attive» più efficaci l’inserimento e l’assegno di ricollocazione
TRENTO A livello provinciale è stata condotta un’innovativa indagine sperimentale sulle politiche del lavoro. In particolare, è stata valutata l’efficacia di quattro diverse politiche attive — assegni di ricollocazione Anpal, inserimento lavorativo, coaching e tutorato — su un campione di circa 1.400 soggetti, a confronto con un gruppo di controllo della stessa mole. L’obiettivo? Verificare se queste potessero incentivare chi è disoccupato a cominciare un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro.
Quanto emerge è la scarsa disponibilità di chi è già affiancato da politiche passive — ovvero i trasferimenti monetari che vengono erogati a chi si trova nella transizione da un lavoro all’altro — ad accettare il contributo delle politiche attive, che vorrebbero velocizzare il percorso di reinserimento lavorativo. Un’interferenza fra policy che era già ben nota.
Giulio Zanella, economista del lavoro all’università di Bologna, ha mostrato i primi risultati della valutazione sperimentale avviata a marzo 2017: «Il tasso di risposta alle lettere che avevamo inviato è stato equivalente al 38%. Tuttavia, ha aderito al programma soltanto una persona su 5 dei rispondenti, ovvero il 22% dei rispondenti (8,4% del totale, ndr)».
Dagli effetti delle politiche attive sugli individui che le hanno accettate emerge, evidente, una frattura: sono meno risolutivi gli interventi di tutorato e coaching, mentre funzionano di più il programma di inserimento lavorativo e gli assegni di ricollocazione. «I primi due — ha esposto Giulio Zanella — danno meno probabilità di migliorare lo status occupazionale; mentre chi ha usufruito dell’assegno di ricollocazione ha il 20% in più di probabilità di trovare occupazione rispetto a chi non ha ricevuto la lettera». I programmi più funzionanti sono perciò quelli che forniscono incentivi a soggetti terzi specializzati nel supporto al ricollocamento.
«Anche se il 23% del gruppo di controllo ha trovato lavoro senza l’aiuto di politiche attive, dimostrando che esiste un tas- so naturale di uscita dalla disoccupazione, il gruppo “trattato” ha avuto risultati migliori», ha concluso l’economista, sostenendo ancora una volta che permane un grande problema: «Chi beneficia delle politiche passive a bassa condizionalità è meno incentivato ad usufruire delle politiche attive. Ogni mese in più di Naspi residua contribuisce a diminuire dell’1% l’adesione alle politiche attive, come dimostra la scarsa rispondenza».