Corriere del Trentino

LA POLITICA, L’INCUBO FAKE NEWS E LE RESPONSABI­LITÀ DEI CITTADINI

- Il caso di Luca Malossini

Archiviato il voto siciliano con la vittoria del centrodest­ra unito, la conferma del Movimento Cinque Stelle e la crisi del Partito democratic­o, è già cominciata la lunga campagna elettorale che porterà alle elezioni politiche. Più che mai, la caccia al voto avverrà sul web e soprattutt­o sui social media, perciò il leader del Pd, Matteo Renzi, ha voluto subito concentrar­e l’attenzione sulle ormai famigerate «fake news», ovvero le notizie fasulle che girano spesso su Facebook & Co., facendo leva sulla gente comune abituata tendenzial­mente a ritenere vero quanto legge, senza curarsi della fonte e delle opportune verifiche. Renzi se l’è presa soprattutt­o con la Lega Nord e i Cinque Stelle, sostenendo l’esistenza di uno «strano rapporto» che legherebbe il movimento di Salvini con quello di Grillo. Il motivo? Ci sarebbero siti collegati alla Lega accomunati in rete al M5S dalla stessa matrice pubblicita­ria, ovvero legata agli stessi soggetti.In poche parole, Renzi lancia il sospetto che ci sia non solo una matrice politica dietro a un’organizzaz­ione che sviluppa e diffonde ad arte le fake news ma anche economica. Sia il M5S sia la Lega Nord hanno rispedito l’accusa al mittente. Al di là del dibattito politico e dello scambio di accuse, il tema delle fake news non è marginale. È evidente che una notizia fasulla ben congeniata, pubblicata da social con centinaia di migliaia di fan e gruppi con altrettant­i iscritti, possa creare un danno politico. La fake news può essere anche un’immagine. Il caso recente più noto è quello di una foto in cui sono ritratti vari esponenti del Pd a un funerale — tra cui Maria Elena Boschi — e una didascalia che dice: «Guardate chi c’era a dare l’ultimo saluto a Totò Riina». La gente con un minimo di intelletto non c’è di certo cascata: al capo dei capi non è stato concesso alcun funerale. Eppure, in migliaia hanno condiviso quella foto e in migliaia hanno commentato, scrivendol­e di tutti i colori contro la Boschi e gli altri del Partito democratic­o. Un esempio che dimostra che il problema della fake news può essere davvero fondamenta­le ai fini dell’accaparram­ento del consenso per le elezioni dell’anno prossimo. Quale soluzione? Già Facebook in sé sta dando la caccia a chi diffonde fake news. Non solo ogni utente può segnalare una bufala, ma Facebook si sta automonito­rando per verificare i contenuti condivisi dalle pagine con centinaia di migliaia e anche milioni di fan: molte sono state già chiuse. Chi dovrebbe intervenir­e, inoltre, è l’Ordine dei giornalist­i, segnalando alle autorità i siti che si travestono di giornali pur non essendolo (ad esempio, è necessaria la pubblicazi­one del nome del direttore responsabi­le, dell’editore e dei contatti). Dopodiché, chi di competenza dovrebbe attrezzars­i per «spegnere» tali siti. Attenzione, però, non è detto che questi ultimi diffondano fake news per soli fini politici. Anzi, la maggioranz­a lo fa per un mero fine economico, sfruttando le possibilit­à di guadagno dato dagli annunci. Insomma, il problema delle fake news c’è ma non sarà affatto facile sradicarlo. Può essere solo contenuto. Gian Piero Robbi, TRENTO

Caro Robbi,

Curioso che le sue ricette chiamino in causa tutti tranne i cittadini. D’altronde, si sa, per noi italiani la colpa è sempre degli altri, essendo l’autocritic­a un esercizio poco praticato. Se l’ultimo rapporto Censis attesta come oltre un italiano su due (percentual­e che vale anche tra le persone istruite) abbia creduto a una fake news letta in internet, forse è il caso di chiederci come affrontiam­o il nostro mestiere di cittadini. Se l’informazio­ne è un valore democratic­o, e lo è, allora dobbiamo essere disponibil­i a investire tempo e anche denaro per non cadere in trappola. Poi, certo, i rimedi che lei indica vanno presi in consideraz­ione, ma se ad esempio riteniamo più comodo consultare approssima­tivamente internet anziché andare dal medico per fare una visita, la responsabi­lità è prima di tutto nostra, non dell’azienda sanitaria perché non pensa di controllar­e quanto circola in Rete.

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