IL SENSO DELL’AUTONOMIA E UNA VISIONE FOLKLORISTICA
Intervengo a proposito di un passaggio emerso nel corso dell’evento «Restart» tenutosi martedì scorso e promosso da Donatella Conzatti — evento al quale ha partecipato lo stesso presidente della Provincia Ugo Rossi — e lo faccio in merito al «senso» dell’autonomia. Di ogni azione, di ogni situazione ci si chiede infatti: che senso ha? Chiediamocelo anche dell’autonomia: che senso ha l’autonomia? Sicuramente ha un senso trascendente che si identifica nei suoi risultati raggiunti in termini economici, finanziari, ma soprattutto nel livello della qualità e durata della vita rispetto al Trentino ante autonomia speciale nonché rispetto alle altre regioni a statuto speciale e a statuto ordinario. A questo punto la domanda si amplia: l’autonomia ha anche un senso immanente? Ovvero, giorno per giorno, nel momento in cui io «vivo l’autonomia», sono autonomo? E soprattutto, il mio pensiero e la sua espressione sono autonomi? Oppure sono condizionati nel loro formarsi e — quand’anche abbiano superato indenni il momento del «parto» — strada facendo i loro contenuti vengono travisati, modificati, azzerati da micidiali catene di trasmissione (modificata!) di un originario pensiero liberamente, democraticamente e autonomamente espresso? Se malauguratamente si verificasse tale seconda ipotesi, il mio pensiero non sarebbe affatto libero e autonomo; e libera e autonoma non sarebbe nemmeno la società dei tanti pensieri simili dai quali essa fosse costituita. Cerco di spiegarmi con un esempio. Tizio lavora, il suo è solo un utilizzo strumentale che lo umilia: quel lavoro per lui non ha alcun senso immanente. Ha tuttavia per lui un senso trascendente, perché a fine mese percepisce lo stipendio che gli consente di mantenere la famiglia. Caio è un collega di Tizio, lavora nell’ufficio accanto, svolge mansioni motivanti: per lui il lavoro ha innanzi tutto un senso immanente, al punto che vorrebbe continuare e farlo anche se — per ragioni dell’economia complessiva del suo datore di lavoro — gli riducessero lo stipendio. Poi quel lavoro per Caio ha ovviamente anche un senso trascendente (lo stipendio a fine mese). Torniamo all’autonomia: sicuramente ha un senso trascendente (come ho scritto prima: i suoi risultati). Ma domandiamoci se essa per ognuno di noi ha anche — come deve avere — un senso immanente: ovvero il mio pensiero e la sua espressione sono realmente liberi e quindi autonomi nel senso (scusate il gioco di parole) sopra indicato? Riccardo Lucatti, presidente «Restart» Trentino
Caro Lucatti,
Attorno al senso dell’autonomia, dopo le recenti e ingiustificate bordate di Enrico Mentana, si è sviluppato un dibattito che ha messo in chiara evidenza come la questione venga vissuta in maniera superficiale pure dalla gran parte dei trentini (gli applausi scroscianti che hanno accompagnato le critiche del direttore de «La7» ne sono un esempio eclatante). Si parla di autonomia e molti fanno riferimento ad aspetti storici. Questa non è autonomia, si chiama folklore: tutta un’altra cosa. L’autonomia è autogoverno (non autodeterminazione, sia chiaro), possibilità di sfruttare al meglio le risorse a disposizione per eccellere. L’autonomia allora come terreno fertile sul quale sperimentare innovazione, non privilegi. Ecco il concetto che deve passare e condizionare, positivamente, la visione — non solo dei trentini — nei confronti dell’ autonomia.
Banalmente, oggi c’è un enorme bisogno di vendere meglio il nostro «prodotto». Difficile? Il professor Gianfranco Cerea sul nostro giornale, ma anche nel recente confronto organizzato proprio da «Restart», ha dato un’indicazione che ritengo utile: «L’autonomia è giustificata dai risultati economici. Il Trentino ha una crescita più rapida delle altre regioni, e con la propria crescita traina il Paese». Partire da qui, potrebbe essere già un buon inizio.