Corriere del Trentino

Dora, un angelo fra la gente

«L’eredità delle dee» pone al centro memorie e magia fra le cime dei Carpazi La protagonis­ta è figlia di una divinità, ma deve affrontare mille traversie Vive sospeso tra fantasia e realtà il romanzo di Tuckova edito da Keller

- di Gabriella Brugnara

La giovane diventa un andzjel e scopre che le vicissitud­ini difficili di casa sua sono legate al passato del suo Paese

Mistero, maledizion­e, montagne da sempre abitate da una stirpe di donne dotate di poteri eccezional­i. Gli elementi per trascorrer­e qualche ora in compagnia di un buon libro ci sono davvero tutti nell’avvincente narrazione proposta da L’eredità delle dee. Una misteriosa storia dai Carpazi Bianchi di Katerina Tuckova, traduzione dal ceco di Laura Angeloni (Keller, 2017).

Sin dalle prime battute il romanzo conduce infatti in un’atmosfera sospesa e al contempo intrisa di quotidiani­tà, in cui Dora, la ragazza protagonis­ta, di fronte alla disgrazia accaduta ai genitori mette a fuoco quello che già aveva intuito: le origini della sciagura che aveva colpito la sua famiglia scaturisco­no da «un tempo che la sua breve memoria non poteva ricordare». Perché la mamma di Dora «era una bohyne, una dea, e le dee hanno un destino infelice. Infelice fino a quel punto però non se lo aspettava nessuno, le sembrò di capire. Perché erano trecento anni che una dea non moriva così, sotto il colpo di un’accetta». Perché stava accadendo tutto questo? Nella comunità di Žítková, vive da tempo immemorabi­le una stirpe di donne dotate di poteri eccezional­i. Guaritrici, preveggent­i, tramandano la loro arte di madre in figlia e vengono chiamate dee. Dora Idesová è l’ultima di questa discendenz­a, ma non ha ereditato nessuna arte. Rimasta orfa-na passa alle cure di zia Surmena fino a quando anche quest’ultima scompare dietro le mura di una clinica psichiatri­ca. Dora finisce così in collegio, cresce, studia etnografia e trova lavoro presso l’Accademia delle scienze di Brno.

E non ci sono solo le dee a creare stupore in questa storia. Perché da subito, zia Surmena, spiega a Dora che dopo la perdita della madre avrebbe dovuto imparare «a diventare un andzjel e nell’onda dei nuovi, eccitanti, avveniment­i, si attenuò pian piano anche il dolore. Lei – un andzjel!».

Così la ragazza non solo scopre chi sono gli angeli delle dee, ma lei stessa diventa uno di loro. A quel punto il sostrato del suo mondo muta. Per lei finiscono i lunghi monotoni pomeriggi in cui non accade mai nulla.

Da quando aveva assunto la funzione di angelo, infatti, il «suo tempo era diventato parte di quello di molti, per i quali rivestiva un ruolo importante. Lo assumeva con orgoglio e con la consapevol­ezza di avere una responsabi­lità nei confronti di questa misteriosa tradizione che risaliva a un passato così remoto che nessuno ne conservava memoria».

Famiglia

Una responsabi­lità che spinge Dora a fare ricerche sul passato della sua famiglia. All’archivio di Pardubice il fascicolo che porta il nome di zia Surmena non contiene però alcun documento relativo al suo arresto, e neppure traccia né di un interrogat­orio né di un processo. Prosegue l’indagine fino a trovare la cartella del reparto psichiatri­co: «Anamnesi famigliare: Psicosi paranoide in tutta la linea famigliare da parte di madre». Il passo successivo per Dora è scoprire che quella storia s’intreccia con le vicende che hanno segnato il suo Paese.

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