ORGANI COLLEGIALI VITA TORMENTATA
Fra qualche settimana cadrà una delle scadenze che caratterizzano un anno scolastico, la valutazione del profitto degli studenti a metà del percorso annuale.
Fra qualche settimana cadrà una delle scadenze che caratterizzano l’anno scolastico, la valutazione del profitto degli studenti a metà del percorso annuale. Ciò sollecita una riflessione sullo stato di salute degli organi collegiali, uno spazio che, a poco a poco, sta diventando una terra tormentata.
Pur mantenendo una loro valenza giuridica, sancita da norme presenti sia nella legislazione nazionale sia in quella provinciale, è infatti indubbio che gli organi collegiali, per le vicende e le scelte perlomeno dell’ultimo decennio, hanno subito una corrosione graduale e ora soffrono di una perdita di identità. Si è così creata una frattura fra quanto definito nella norma e la presenza reale degli organi collegiali, con un affievolimento (avvilimento?) di ruolo che è opportuno indagare.
Qui, in particolare, si vuole considerare il funzionamento del collegio dei docenti e del consiglio di classe. Nel primo caso, l’assemblea non riesce più a essere propositiva come un tempo, né luogo di confronto, magari aspro e appassionato, su temi di fondo. Ha perso quest’anima, così spesso le riunioni si limitano a sancire scelte organizzative e appuntamenti istituzionali senza entrare nel merito. In parte è una conseguenza inevitabile di due fattori: la riscrittura, non sempre felice, di competenze e responsabilità in capo al dirigente scolastico; la numerosità del collegio, dovuta spesso a processi di aggregazione, per cui — in presenza di collegi con oltre cento docenti — diventa problematico attivare dibattiti e prese di posizione utili a disegnare una solida e originale progettualità.
L’altro elemento che incide è dovuto all’invasività di scadenze valutative di diverso livello e all’adozione standardizzata di procedure operative preconfezionate, per cui gli ordini del giorno sono articolati sulla prepotenza di algoritmi, statistiche, scadenze prefissate e dichiarate immodificabili. Non c’è più il tempo per ripensamenti o per correzioni di rotta che sarebbero salutari. I docenti (e con loro gli studenti) cessano di essere soggetti protagonisti e diventano oggetto, strumento per perseguire in modo ortodosso finalità già definite.
Tale destino è ancora più evidente nella vita di un consiglio di classe, luogo che dovrebbe essere tutelato con grande intelligenza, perché — quando tutti i docenti che ne fanno parte, pur nelle differenze che li abitano, sono capaci di una visione autenticamente e rigorosamente collegiale — è la sede appropriata per arrivare a una valutazione formativa di ciascun studente, incrociando la misurazione del profitto (i voti), le capacità, l’autonomia e la responsabilità individuali, diligenza e negligenza, aspetti personali inscindibili dall’esperienza scolastica e dall’essere adolescenti.
Ora, l’informatizzazione che sovrintende la maggior parte delle azioni valutative ha scosso le certezze e la ragione sociale del consiglio di classe che arriva all’appuntamento con una confezione già predisposta, con tempi di confronto ridotti all’osso, con il fastidio di riaprire questioni che sulla carta sono già definite, con giudizi apparentemente inoppugnabili, mentre sono la burocratica somma di una serie di valutazione individuali e sono un dato che descrive solo la superficie di molti allievi. Il consiglio di classe è così privato della sua funzione più nobile e sarà più difficile individuare i casi che meritano un approfondimento, e diventerà maggiore il rischio di certificare come scarto prestazioni di studenti che invece, con un’attenzione mirata, potrebbero riprendere il loro cammino con giustificata speranza.
Sono stati però raccolti, elaborati e registrati tanti dati che consentono di fotografare la storia e i risultati di un istituto; dati che convergono nel paniere provinciale e poi in quello nazionale. Tutto giusto: ma si dovrebbe avere cura di considerare che così facendo, da una parte, ogni scuola diventa un palcoscenico dove si recita il medesimo canovaccio (e così non è e non dovrebbe essere); dall’altra si riscontra — e, a mio parere, è pericoloso — un unico modello formativo che pretende di azzerare l’acquisizione di saperi esplorati per conquistare un’autonomia culturale, conoscitiva e critica in favore di una preparazione standard, buona per tutto e gioiosamente abilitante per un mercato del lavoro quanto meno indecifrabile.