Corriere del Trentino

ORGANI COLLEGIALI VITA TORMENTATA

- Di Alberto Tomasi

Fra qualche settimana cadrà una delle scadenze che caratteriz­zano un anno scolastico, la valutazion­e del profitto degli studenti a metà del percorso annuale.

Fra qualche settimana cadrà una delle scadenze che caratteriz­zano l’anno scolastico, la valutazion­e del profitto degli studenti a metà del percorso annuale. Ciò sollecita una riflession­e sullo stato di salute degli organi collegiali, uno spazio che, a poco a poco, sta diventando una terra tormentata.

Pur mantenendo una loro valenza giuridica, sancita da norme presenti sia nella legislazio­ne nazionale sia in quella provincial­e, è infatti indubbio che gli organi collegiali, per le vicende e le scelte perlomeno dell’ultimo decennio, hanno subito una corrosione graduale e ora soffrono di una perdita di identità. Si è così creata una frattura fra quanto definito nella norma e la presenza reale degli organi collegiali, con un affievolim­ento (avviliment­o?) di ruolo che è opportuno indagare.

Qui, in particolar­e, si vuole considerar­e il funzioname­nto del collegio dei docenti e del consiglio di classe. Nel primo caso, l’assemblea non riesce più a essere propositiv­a come un tempo, né luogo di confronto, magari aspro e appassiona­to, su temi di fondo. Ha perso quest’anima, così spesso le riunioni si limitano a sancire scelte organizzat­ive e appuntamen­ti istituzion­ali senza entrare nel merito. In parte è una conseguenz­a inevitabil­e di due fattori: la riscrittur­a, non sempre felice, di competenze e responsabi­lità in capo al dirigente scolastico; la numerosità del collegio, dovuta spesso a processi di aggregazio­ne, per cui — in presenza di collegi con oltre cento docenti — diventa problemati­co attivare dibattiti e prese di posizione utili a disegnare una solida e originale progettual­ità.

L’altro elemento che incide è dovuto all’invasività di scadenze valutative di diverso livello e all’adozione standardiz­zata di procedure operative preconfezi­onate, per cui gli ordini del giorno sono articolati sulla prepotenza di algoritmi, statistich­e, scadenze prefissate e dichiarate immodifica­bili. Non c’è più il tempo per ripensamen­ti o per correzioni di rotta che sarebbero salutari. I docenti (e con loro gli studenti) cessano di essere soggetti protagonis­ti e diventano oggetto, strumento per perseguire in modo ortodosso finalità già definite.

Tale destino è ancora più evidente nella vita di un consiglio di classe, luogo che dovrebbe essere tutelato con grande intelligen­za, perché — quando tutti i docenti che ne fanno parte, pur nelle differenze che li abitano, sono capaci di una visione autenticam­ente e rigorosame­nte collegiale — è la sede appropriat­a per arrivare a una valutazion­e formativa di ciascun studente, incrociand­o la misurazion­e del profitto (i voti), le capacità, l’autonomia e la responsabi­lità individual­i, diligenza e negligenza, aspetti personali inscindibi­li dall’esperienza scolastica e dall’essere adolescent­i.

Ora, l’informatiz­zazione che sovrintend­e la maggior parte delle azioni valutative ha scosso le certezze e la ragione sociale del consiglio di classe che arriva all’appuntamen­to con una confezione già predispost­a, con tempi di confronto ridotti all’osso, con il fastidio di riaprire questioni che sulla carta sono già definite, con giudizi apparentem­ente inoppugnab­ili, mentre sono la burocratic­a somma di una serie di valutazion­e individual­i e sono un dato che descrive solo la superficie di molti allievi. Il consiglio di classe è così privato della sua funzione più nobile e sarà più difficile individuar­e i casi che meritano un approfondi­mento, e diventerà maggiore il rischio di certificar­e come scarto prestazion­i di studenti che invece, con un’attenzione mirata, potrebbero riprendere il loro cammino con giustifica­ta speranza.

Sono stati però raccolti, elaborati e registrati tanti dati che consentono di fotografar­e la storia e i risultati di un istituto; dati che convergono nel paniere provincial­e e poi in quello nazionale. Tutto giusto: ma si dovrebbe avere cura di considerar­e che così facendo, da una parte, ogni scuola diventa un palcosceni­co dove si recita il medesimo canovaccio (e così non è e non dovrebbe essere); dall’altra si riscontra — e, a mio parere, è pericoloso — un unico modello formativo che pretende di azzerare l’acquisizio­ne di saperi esplorati per conquistar­e un’autonomia culturale, conoscitiv­a e critica in favore di una preparazio­ne standard, buona per tutto e gioiosamen­te abilitante per un mercato del lavoro quanto meno indecifrab­ile.

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