L’ultimo saluto al piccolo Adan Volontari e curdi in cimitero La madre portata al San Maurizio
BOLZANO Il silenzio del cimitero di Maso della Pieve è squarciato dalle lunghe, strazianti urla di dolore della mamma di Adan, il profugo tredicenne curdo-iracheno morto a Bolzano dopo una caduta dalla sua sedia a rotelle.
Allontanarla dal feretro di suo figlio, il secondo perso in questi lunghi anni di fughe dalla guerra e disperazione, è impossibile. Ripete, tremante, il suo nome «Abdullah», «Abdullah». E si lascia andare all’abbraccio di chi, in queste settimane, ha fatto quadrato intorno alla famiglia: la rete di volontari di Sos Bozen, Antenne Migranti, la referente profughi Chiara Rabini e la comunità curda. Defilati, a debita distanza, ci sono anche l’assessore provinciale Richard Theiner, in rappresentanza di Palazzo Widmann, e l’assessore alle politiche sociali Sandro Repetto.
Non c’è nulla che possa placare quei gemiti di disperazione, quel senso di lacerazione che ha accompagnato la madre di Adan sin dai primi momenti dopo la caduta, col ricovero in ospedale, il decesso. E le lunghe settimane in cui, per permettere alla Procura di avviare le indagini e disporre l’autopsia con formula di incidente probatorio, il corpo di Adan è rimasto custodito nel reparto di anatomopatologia del San Maurizio, mentre la famiglia, grazie all’interessamento dell’Unhcr e la disponibilità del Cinformi, ha trovato finalmente accoglienza a Trento, nella rete Sprar.
Ad accogliere il feretro di Adan, ieri, le rose rosse della comunità curda, e i loro esponenti, compresi il papà e i tre fratellini, che hanno mostrato alcune foto del ragazzino: lui sulla sedia a rotelle, con dietro il mare; lui a parco Stazione, dove ha trascorso le sue giornate a Bolzano, insieme alla famiglia, non avendo trovato accoglienza in una delle strutture provinciali. Lui, infine, intubato, su un letto di ospedale, in fin di vita.
La mamma di Adan non vuole lasciarlo andare, più volte devono portarla via di peso dalla camera mortuaria, allontanarla dalla bara, aprirla infine un’ultima volta, prima della sepoltura, affinché possa rivedere suo figlio per un ultimo istante. Solo la preghiera dell’imam, giunto dal Piemonte, riesce a placare per una manciata di istanti quel boato straziante. Alla fine della cerimonia, però, quella lacerazione assume sembianze fisiche: la mamma di Adan ha un malore, viene portata d’urgenza in ospedale. Si riprende in qualche ora, preparandosi ad affrontare un dolore permanente, acuto, incancellabile.