L’AUTOGOL AUTONOMISTA
In un recente incontro dal titolo «Anticipiamo il futuro: un nuovo quadro per lo sviluppo territoriale», tenutosi al Muse, il governatore del Trentino, Ugo Rossi, ha fatto alcune affermazioni in merito al ruolo dell’università. Una in particolare merita approfondimento perché, al di là del tema specifico affrontato, testimonia a mio avviso l’esistenza di un modo di pensare poco appagante per gli interessi dell’autonomia.
Secondo Rossi, sovvenzionando l’ateneo, la Provincia farebbe un servizio al Paese visto che più del 70 per cento degli studenti viene da fuori provincia. Alla luce di tale considerazione il presidente ha ventilato la possibilità di ridiscutere con Roma i contenuti finanziari della delega.
Nessun argomento è tabù, e certamente esistono molte buone ragioni anche per riorganizzare la delega sull’università. Ma accampare la ragione prospettata da Rossi si tramuterebbe in un autogol.
Conviene ricordare che la delega sull’università è stata chiesta, da Piazza Dante, ai sensi dell’articolo 27 della legge 42/2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, che impone alle Province autonome di «concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarietà» (si veda la delibera di giunta provinciale 30 novembre 2009 numero 2892). Nel 2009 lo Stato chiese cento milioni al Trentino. Il Trentino rispose che preferiva non versare tale cifra ma provvedere, in cambio, ad assumersi oneri di competenza statale. Così nacque la competenza universitaria (il cosiddetto accordo di Milano). Ne deriva che «rendere un servizio alla comunità nazionale» è esattamente ciò che deve essere fatto per onorare quanto pattuito al fine di concorrere agli obiettivi di perequazione e solidarietà.
Alla luce degli impegni presi, in altre parole, non è possibile dire: «Cambiamo le regole perché non ci conviene fare qualcosa che si risolve in un servizio reso allo Stato». Sarebbe come affermare: i soldi che dovremmo versare per gli obiettivi di perequazione li teniamo noi e li spendiamo per finalità utili esclusivamente alla comunità locale. Tale modo di procedere probabilmente solleticherà la «pancia» di qualche elettore, ma ci rende estremamente impopolari agli occhi degli altri italiani. L’idea autonomistica può sopravvivere solo se inserita in un contesto nazionale rispetto al quale occorre comportarsi come modello di riferimento anche valoriale. E la tutela esclusiva dei propri interessi ha davvero il fiato cortissimo.