LA TRENTINITÀ SCOMBUSSOLATA
L’entrata in vigore della nuova legge elettorale, come si evince anche dal dibattito in corso, ha scompaginato le strategie di un po’ tutti i partiti trentini. La novità, come si sa, vede l’introduzione di un sistema misto identico per l’elezione dei membri della Camera e del Senato. Alla Camera, 232 onorevoli sono eletti con il maggioritario e 386 con il proporzionale; al Senato, 116 senatori sono eletti con il maggioritario e 193 con il proporzionale. Il resto dei parlamentari appartiene alla circoscrizione estera.
Fin qui tutto bene, se non fosse che difficilmente tale accorgimento elettorale (applicato a un sistema di partito tripolare) produrrà una maggioranza chiara. Con ogni probabilità, il periodo post-voto sarà segnato dai negoziati tra le forze politiche per l’identificazione del capo del governo, dei suoi ministri e della necessaria maggioranza.
Non è tuttavia la formula elettorale che ha complicato le carte dei partiti trentini, quanto piuttosto il fatto che la legge introduce importanti soglie di sbarramento e che le coalizioni devono essere uniche a livello nazionale. Detto altrimenti, un partito locale (per quanto forte) ha poche o nulle possibilità di vedere eletto un proprio candidato, a meno che non aderisca a una coalizione nazionale. Come è giusto che sia, sono stati introdotti meccanismi specifici per salvaguardare le minoranze linguistiche, ma ciò si applica unicamente Bolzano.
Il problema trentino è presto inquadrato: dopo anni in cui la territorialità era diventata il mantra di molti (se non di tutti) i partiti, adesso le forze politiche devono mischiarsi con dinamiche che trascendono il territorio provinciale. Mi spiego meglio. In Trentino, l’autonomia ha favorito l’affermarsi di un sistema partitico in parte diverso da quello nazionale. Si pensi alla Dc, che non è mai stata solamente la disarticolazione di quella nazionale. E si pensi, più di recente, all’innovazione rappresentata dalla Margherita o al lungo dibattito sui rapporti tra Pd trentino e romano. Proprio in virtù di tali peculiarità, il Trentino è stato visto come un laboratorio politico. La nuova legge elettorale scombussola le carte. Non cancella tout court le dinamiche politiche locali, ma le costringe a fare i conti con il quadro nazionale. Inoltre ci ha fatto riscoprire un passaggio chiave: l’autonomia non si difende solo a Trento ma anche, e soprattutto, a Roma.