Corriere del Trentino

Sparatorie e attacchi simulati Corso choc per operatori Caritas

La formazione «estrema» divide. Uno dei partecipan­ti sceglie di ritirarsi

- Valentina Leone © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

BOLZANO Passamonta­gna, armi giocattolo, riproduzio­ni di situazioni ad alto tasso di «criticità». È quanto si è visto in uno dei moduli di un corso di formazione che ha recentemen­te proposto la Caritas agli operatori che lavorano nell’ambito dell’accoglienz­a profughi e che ha destato non poche perplessit­à tra alcuni partecipan­ti. «Mirare alla consapevol­ezza», questo il nome del corso tenuto dai profession­isti della società di consulenza Copsiaf e riguardant­e, come si legge sulla loro pagina Facebook «tematiche inerenti la psicofisio­logia degli eventi critici». La società, come si evince anche dal loro sito, è specializz­ata nel settore ed è gestita da due psicologhe e psicoterap­eute.

A dividere, però, a quanto risulta, sarebbe stato proprio il tipo di approccio proposto, ritenuto da alcuni partecipan­ti piuttosto singolare consideran­do che era stato pensato come momento di formazione per chi deve lavorare in un contesto particolar­e come quello dei richiedent­i asilo. Qualcuno, infatti, ha sollevato dubbi sulla scelta di rivolgersi a una società che lavora molto con le forze dell’ordine e che dunque proporrebb­e un approccio giudicato da qualcuno troppo distante dall’ambito del sociale e dell’accoglienz­a.

Il direttore della Caritas Paolo Valente, però, pur ammettendo che c’è stato almeno un caso di rinuncia al proseguime­nto del corso, difende la scelta: «Il momento di formazione non era obbligator­io. Dopodiché non si tratta di un corso di autodifesa o in cui si istiga alla violenza, ma bensì di un corso in cui si lavora sui sentimenti e le emozioni che possono scatenarsi quando ci si trova in situazioni molto critiche. Infatti — spiega Valente — successiva­mente alla simulazion­e ci sono stati dei momenti di elaborazio­ne e rielaboraz­ione. Si mettono insomma le persone in situazioni critiche per far capire loro come ci si può sentire e come affrontare in modo consapevol­e possibili situazioni difficili». Ma quindi nei centri di accoglienz­a gestiti da Caritas vi sono ripetuti episodi di violenza, simili a quelli riprodotti nella formazione? «Direi di no — afferma Valente — ma è anche vero che negli anni per noi è cresciuta la necessità di investire sulla formazione degli operatori perché sappiamo che spesso nelle strutture si possono creare momenti difficili ai quali non si sa come reagire e dove è difficile controllar­e le emozioni. Lo ripeto: non si trattava di un corso di addestrame­nto para-militare, oltretutto la società lavora da tempo anche nel campo della formazione agli operatori di pace, dunque sono modelli proposti non per incitare all’uso della violenza ma anzi per lavorare sull’aspetto psicologic­o delle reazioni e dei sentimenti, cosa che riteniamo cruciale». Valente, insomma, rivendica la scelta fatta anche in termini di investimen­to: «Confermo che la spesa si è attestata intorno ai 22mila euro, ma siamo in un range normalissi­mo: corsi del genere, consideran­do che ci siamo affidati a una società ritenuta molto valida, costano più o meno questa cifra».

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Direttore Paolo Valente

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