Sparatorie e attacchi simulati Corso choc per operatori Caritas
La formazione «estrema» divide. Uno dei partecipanti sceglie di ritirarsi
BOLZANO Passamontagna, armi giocattolo, riproduzioni di situazioni ad alto tasso di «criticità». È quanto si è visto in uno dei moduli di un corso di formazione che ha recentemente proposto la Caritas agli operatori che lavorano nell’ambito dell’accoglienza profughi e che ha destato non poche perplessità tra alcuni partecipanti. «Mirare alla consapevolezza», questo il nome del corso tenuto dai professionisti della società di consulenza Copsiaf e riguardante, come si legge sulla loro pagina Facebook «tematiche inerenti la psicofisiologia degli eventi critici». La società, come si evince anche dal loro sito, è specializzata nel settore ed è gestita da due psicologhe e psicoterapeute.
A dividere, però, a quanto risulta, sarebbe stato proprio il tipo di approccio proposto, ritenuto da alcuni partecipanti piuttosto singolare considerando che era stato pensato come momento di formazione per chi deve lavorare in un contesto particolare come quello dei richiedenti asilo. Qualcuno, infatti, ha sollevato dubbi sulla scelta di rivolgersi a una società che lavora molto con le forze dell’ordine e che dunque proporrebbe un approccio giudicato da qualcuno troppo distante dall’ambito del sociale e dell’accoglienza.
Il direttore della Caritas Paolo Valente, però, pur ammettendo che c’è stato almeno un caso di rinuncia al proseguimento del corso, difende la scelta: «Il momento di formazione non era obbligatorio. Dopodiché non si tratta di un corso di autodifesa o in cui si istiga alla violenza, ma bensì di un corso in cui si lavora sui sentimenti e le emozioni che possono scatenarsi quando ci si trova in situazioni molto critiche. Infatti — spiega Valente — successivamente alla simulazione ci sono stati dei momenti di elaborazione e rielaborazione. Si mettono insomma le persone in situazioni critiche per far capire loro come ci si può sentire e come affrontare in modo consapevole possibili situazioni difficili». Ma quindi nei centri di accoglienza gestiti da Caritas vi sono ripetuti episodi di violenza, simili a quelli riprodotti nella formazione? «Direi di no — afferma Valente — ma è anche vero che negli anni per noi è cresciuta la necessità di investire sulla formazione degli operatori perché sappiamo che spesso nelle strutture si possono creare momenti difficili ai quali non si sa come reagire e dove è difficile controllare le emozioni. Lo ripeto: non si trattava di un corso di addestramento para-militare, oltretutto la società lavora da tempo anche nel campo della formazione agli operatori di pace, dunque sono modelli proposti non per incitare all’uso della violenza ma anzi per lavorare sull’aspetto psicologico delle reazioni e dei sentimenti, cosa che riteniamo cruciale». Valente, insomma, rivendica la scelta fatta anche in termini di investimento: «Confermo che la spesa si è attestata intorno ai 22mila euro, ma siamo in un range normalissimo: corsi del genere, considerando che ci siamo affidati a una società ritenuta molto valida, costano più o meno questa cifra».