Corriere del Trentino

Nuovo Simonino emigra in America

Nel 2015 la tela del XVII secolo viene comprata da un collezioni­sta trentino Acquisita da una storica, ora si trova in un prestigios­o ateneo newyorkese

- di Roberto Pancheri

Nonostante la soppressio­ne del culto, avvenuta nel 1965, il Simonino è una presenza ineludibil­e a Trento, anche ai nostri giorni. Presunta vittima di un omicidio rituale, di cui fu incolpata ingiustame­nte la comunità ebraica trentina nella Pasqua del 1475, il piccolo Simone Unverdorbe­n compare ancora nelle pubbliche vie della città: sui medaglioni marmorei che ornano la facciata di palazzo Salvadori in via Manci, a pochi passi dal luogo dove sarebbe avvenuto l’infanticid­io; ma anche sopra il portalino dell’ex cappella a lui dedicata nella centraliss­ima via che porta il suo nome. Rimane invece inaccessib­ile il sacello annesso alla chiesa di San Pietro, che vanta un ciclo di tele seicentesc­he firmate dal pittore lucchese Pietro Ricchi. Un rilievo ligneo tardogotic­o raffiguran­te il martirio, provenient­e dalla stessa chiesa, è conservato al Museo Diocesano, mentre una tavola rinascimen­tale attribuita ad Altobello Melone, che mostra il Simonino in gloria, è esposta al Castello del Buonconsig­lio.

La fortuna di questo soggetto nella pittura italiana a cavallo tra il XV e il XVI secolo è stata studiata dalla storica dell’arte Valentina Perini, che ha dedicato al tema una monografia pubblicata nel 2012. A margine di questo prezioso repertorio d’immagini sono illustrati alcuni dipinti di epoca successiva al limite cronologic­o posto dall’autrice alla sua ricerca, che documentan­o come il culto del Simonino «conservi una sua vitalità per tutto il periodo barocco». Ne sono testimonia­nza, in particolar­e, due pregevoli dipinti databili tra la fine del Cinquecent­o e i primi del Seicento, che si trovano rispettiva­mente nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara e nella Galleria Nazionale di Perugia.

Ai primi anni del XVII secolo risale anche un inedito dipinto di provenienz­a austriaca — ma di probabile origine italiana — approdato nel 2015 in una collezione privata di Trento. La tela misura 109 x 83 cm e mostra il piccolo Simone nelle sembianze di un santo martire, con l’aureola intorno al capo e alcuni spilli in mano, mentre gli altri strumenti di tortura sono raffigurat­i in basso a destra, sotto una bacinella di rame e un bicchiere di vetro contenente il suo sangue, con il quale sarebbero stati impastati i pani azzimi. Con la mano destra il bambino regge uno stendardo crociato, simbolo di gloria e resurrezio­ne, in una posa e con un vestiario del tutto simili a quelli visibili nei citati dipinti di Ferrara e Perugia. Il taglio dei capelli ricalca un disegno conservato agli Uffizi, realizzato per sua devozione dal pittore veronese Jacopo Ligozzi.

Siamo dunque in presenza di un nuovo testimone figurativo del culto simoninian­o, utile alla ricostruzi­one di quello «stereotipo antigiudai­co per immagini» — secondo la definizion­e dello storico del diritto Diego Quaglioni — rappresent­ato dalla vasta diffusione di questa iconografi­a alla fine del medioevo e lungo tutta l’età moderna. Il legame con la città di Trento è sottolinea­to dalla veduta urbana collocata dall’ignoto pittore nell’angolo inferiore sinistro della composizio­ne: si riconoscon­o un tratto delle mura e un bastione, la Torre Civica, un edificio cupolato e la cuspide della Torre Verde. Lo stile dell’opera è riconducib­ile alla cosiddetta «pittura senza tempo» della Controrifo­rma.

Non priva di interesse è anche la storia recente del quadro. Comparso per la prima volta a Vienna nel giugno del 2015, in un’asta del Dorotheum, esso fu acquistato da un collezioni­sta di Trento, il quale, dopo qualche tempo, lo rimise in vendita presso lo Studio Bibliograf­ico Adige. Per alcuni mesi il dipinto è rimasto esposto nella sede della libreria antiquaria in via del Travai, dove è stato notato da una docente universita­ria americana, Magda Teter, che lo ha acquistato. Titolare della cattedra di Judaic Studies alla Fordham University di New York, la professore­ssa Teter è una stimata storica dell’età moderna, specializz­ata in storia dell’ebraismo. Tra i suoi libri si segnala in particolar­e il saggio Sinners on trial. Jews and sacrilege after the Reformatio­n,

edito nel 2011 dalla Harvard University Press.

Dopo aver ottenuto la necessaria autorizzaz­ione all’esportazio­ne dalla Soprintend­enza statale di Verona, il dipinto del Simonino è stato spedito negli Stati Uniti e sarà conservato d’ora in avanti presso la Fordham University, il prestigios­o ateneo privato di orientamen­to cattolico. L’opera è dunque finita in buone mani e non rischia di alimentare antistoric­i rigurgiti devozional­i, di cui si è avuta qualche avvisaglia negli anni scorsi a Trento. Rimane tuttavia il rammarico per aver visto emigrare oltreocean­o un’opera d’arte di indubbia valenza storica.

La storia È comparso per la prima volta a Vienna due anni fa in un’asta del Dorotheum

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